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venerdì 17 luglio 2015
Ecocucina
Imparare gustose ricette utilizzando gli scarti dei vegetali. L’esperienza di Lisa Canali.
Mentre in Francia è stata presentata una legge che prevede il reato di spreco e multe per i grandi magazzini che non donano le eccedenze alimentari, in Italia si continua a sprecare. Meno che in passato, ma sono sempre 49 chili di cibo all’anno per famiglia gettati nella spazzatura. In totale lo spreco domestico italiano raggiunge gli 8 miliardi di euro e più di un milione di tonnellate di alimenti. Basterebbe poco: più attenzione nel programmare la spesa e gli acquisti, saper riciclare e utilizzare gli avanzi.
Si distinguono due tipologie di spreco a livello mondiale che riguardano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, pari a un terzo della produzione totale destinata al consumo umano: la food losses, cioè le perdite di cibo che si determinano a monte della filiera agroalimentare in fase di semina, coltivazione, raccolta, conservazione; e la food waste, lo spreco di cibo che avviene nel processo di trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale.
Ormai sono innumerevoli le iniziative di associazioni come il Banco alimentare, Last minute market e di singole persone che tentano una risposta perché è nell’educazione quotidiana che si può imparare ad avere uno stile di vita sobria.
È anche l’esperienza di Lisa Canali. Parafrasando una vecchia canzone di Renzo Arbore, si può dire che di giorno si occupa di ambiente e rischi da inquinamento, «ma la notte no». Ha incentrato la sua passione per cibo e fornelli nel trasformare gli scarti alimentari, come foglie esterne di carciofo, gambi di asparagi, bucce, torsoli e baccelli, in ricette deliziose. «Ero stanca – spiega Lisa Canali – di acquistare passivamente, volevo saperne di più sui prodotti che portavo a casa. Volevo eliminare gli imballaggi inutili, ma soprattutto mi chiedevo: ma è proprio necessario buttare via così tanto? Tutte quelle parti che i libri di cucina dicono di scartare sono davvero da buttare via o sono solo più difficili da preparare?».
Dalla sua esperienza sono nati il blog Ecocucina e i suoi libri, tutti per la Gribaudo, La cucina a impatto (quasi) zero (2010), l’originalissimo Cucinare in lavastoviglie (2011), dove propone di cucinare sfruttando il calore dell’acqua di lavaggio, Ecocucina (2012) e Autoproduzione in cucina (2013). Intanto change.org ha raccolto 30 mila firme per avere una legislazione anti spreco simile alla Francia.
lunedì 18 maggio 2015
Scarpe da riciclo
Anche Roma avvia il riciclo di scarpe da ginnastica per la
realizzazione di piste di atletica, ispirandosi a Mennea. Forse fino a qualche anno fa era impensabile che da una
scarpa da ginnastica potesse nascere una pista di atletica. Ma ora è tutto
vero. In tema di riciclo, anche le scarpe vecchie ed esauste possono
contribuire ed essere riutilizzate nella realizzazione di piste di atletica o
pavimentazione anticaduta per le aree giochi dei bambini. Il progetto in realtà
non è una novità: già da qualche anno in Italia è stata avviata la raccolta
delle scarpe da ginnastica per questo tipo di riutilizzo.
Basti ricordare il progetto “Il Giardino di Betty” nel 2013,
iniziativa lanciata dalla società Esosport, il primo progetto di riciclo delle
scarpe sportive in Italia. Si tratta di un parco giochi la cui pavimentazione
antitrauma, con una superficie di 152 metri quadrati, è stata realizzata con le
gomme di migliaia di scarpe da ginnastica usate.
Ora anche Roma sposa l’idea, coinvolgendo le scuole. Una
grande raccolta permanente delle calzature sportive usate nelle scuole della
Capitale, per ridurre l’impatto ambientale e incentivare la cultura del riciclo
tra le ragazze e i ragazzi.
L’iniziativa “La pista di Pietro”, ispirata al corridore
Pietro Mennea, ha come obiettivo quello di diminuire in città l’accumulo dei
rifiuti in discarica e metterli a disposizione per la produzione di piste di
atletica e aree giochi a cura di enti privati, associazioni e cittadini. Ha
aderito all’iniziativa anche Manuela Olivieri Mennea, moglie del campione
olimpico dei 200 metri piani a Mosca 1980 e detentore del primato mondiale per
17 anni. Manuela Olivieri ha infatti donato le scarpe da corsa del corridore:
da esse proverrà una piccola porzione di materiale che sarà impiegato per la
pavimentazione di ciascuna pista di Pietro. I raccoglitori delle scarpe da
ginnastica usate saranno posizionati da aprile in cento istituti della
Capitale. Per l’estate appositi “esobox sport” di raccolta saranno presenti
anche negli stabilimenti balneari del litorale romano, dove sarà possibile
conferire calzature e infradito estive usate.
Lorenzo Russo
mercoledì 18 marzo 2015
Il collo delle camicie
La nuova frontiera del risparmio sono i colli e i polsini
delle camicie. Non ci avevo mai pensato, a dir la verità. Mia moglie mi ha
fatto notare che ho delle camicie praticamente nuove, tranne che per il colletto
liso e impresentabile, a suo dire. Invece della pattumiera o dell’acquisto,
siamo tornati a vecchi usi. Andare dalla sarta. Costo 8 euro per invertire il
collo della camicia che sembra come nuova. Ho così riacquistato 4 camicie nuove
riutilizzabili ancora per più anni. Ho saputo che si possono invertire anche i
polsini. Proverò.
venerdì 30 novembre 2012
I repair caffè
Bevi
caffè e ripara: dall’Olanda arriva l’idea anticrisi
Basta con l’usa e getta. Anche la crisi economica ci impone
di trovare soluzioni alternative al consumismo sfrenato. Si sa, riciclare
rifiuti fa bene all'ambiente ed è anche l’unico metodo per risolvere problemi
legati a discariche sature e insufficienti.
Uno dei pochi dati positivi della crisi è l’aumento della
solidarietà tra i cittadini contro la cultura del consumismo diffuso. E così in
Olanda sono nati i primi “repair cafè”, locali cioè dove riparare oggetti in
modo totalmente gratuito, davanti una tazza di caffè o di tè. Chiunque può
portare un oggetto rotto o non funzionante e trova un esperto che mette a
disposizione la sua professionalità per risolvere il problema. Uno sgabello che
traballa, il lettore cd dello stereo che non funziona più, o un vecchio
orologio che sballa l’orario. Basta portarli ad un “repair cafè”. In Olanda
sono più di quaranta i centri di pronto soccorso che offrono consulenza. Si
tratta di coffee shop, associazioni
culturali o sedi di fondazioni aperti a tutti, dove gratuitamente o dietro
donazioni volontarie personale qualificato e appassionati del do it yourself (fallo da solo) aiutano a
riparare oggetti rotti di vario tipo, davanti a un dolce o a una tazza di tè.
Il progetto, partito tre anni fa, favorisce lo scambio dei
saperi. È una buona occasione per scambiare due chiacchiere con le persone del
proprio quartiere, o del proprio condominio che si ritrovano in questi luoghi
d’incontro. Infatti, chi porta un oggetto da riparare, diversamente da come
succede quando si va in un negozio, non lascia lì l’oggetto e va via. Anzi,
assiste, impara, scambia due chiacchiere, aiuta con le proprie mani e va via
soddisfatto per aver trascorso il tempo coltivando la propria cultura del “faida-te”.
L'intenzione non è quella di sostituirsi ai professionisti
del settore o di entrare in concorrenza con i centri di riparazione ma, al
contrario, di sostenerli diffondendo il più possibile la cultura del recupero.
In Italia l'esempio che più si avvicina è la ciclofficina,
dove gratuitamente si può portare la bici da aggiustare, o magari portare pezzi
di ricambio di biciclette in buono stato che potrebbero essere utili per altre
biciclette.
Lorenzo Russo
mercoledì 21 novembre 2012
Riparo, riuso, recupero
Nell’Italia
della crisi si va diffondendo la consuetudine di rimettere in circolo gli
oggetti, aggiustarli e scambiarsi beni
Diminuiscono i consumi, aumentano le riparazioni, cresce il
riutilizzo degli oggetti. Questa, che rientra nella nota filosofia delle
“quattro erre” (ridurre, riutilizzare, riciclare e recuperare), potrebbe essere
la fotografia delle abitudini degli italiani in tempi di crisi. Se prima un
elettrodomestico guasto veniva facilmente sostituito e un capo di abbigliamento
con uno strappo era subito rimpiazzato da un nuovo acquisto, oggi le cose
sembrano essere cambiate.
Chiedetelo a Giuliano Andreucci, responsabile di Zyp, una catena
di negozi che ripara abiti, moltiplicatisi in un batter d’occhio e sempre in
grande attività. Complice la mancanza di tempo e anche l’incapacità sempre crescente
di fare quei piccoli lavori di sartoria che per le nostre mamme erano
all’ordine del giorno, i negozi rosa (dal colore degli infissi che li caratterizza),
hanno intercettato sicuramente un bisogno diffuso.
Il ragazzo della bottega sotto casa mi racconta che le
richieste riguardano soprattutto il cambio di una cerniera rotta, oppure la
riparazione di qualche strappo, ma anche la trasformazione, con qualche piccolo
accorgimento, di un capo d’occasione da usare in cerimonie diverse, nonché il
rattoppo creativo di un cappotto da usare il più possibile.
La vera novità sembra però venire dal settore degli
elettrodomestici, dove il verbo riparare negli ultimi anni ha trovato una
sempre più grande accoglienza. Secondo dati dell’Associazione riparatori
elettrodomestici di Torino, viene aggiustato infatti il 40 per cento delle
lavatrici, il 35 per cento dei ferri da stiro con caldaia, il 30 per cento
delle lavastoviglie, il 15 per cento dei frigoriferi, il 10 per cento dei forni
a microonde. Non solo quindi gli elettrodomestici di taglia grande e dal costo
consistente, ma anche quelli più piccoli e dalla spesa più abbordabile.
In quanto al riutilizzo, certamente abbiamo ancora sotto gli
occhi nel mese di settembre le lunghe file ai mercatini del libro usato: sempre
di più gli studenti vi fanno ricorso per guadagnarci qualcosa, vendendo quelli
non più in uso e per risparmiare sull’acquisto di quelli da utilizzare
nell’anno. Ma si diffonde pure l’abitudine a mettere in rete annunci di offerte
o richieste di beni non più necessari, o che lo sono solo per un periodo.
Fra le tante iniziative che vanno in questa direzione
segnaliamo il “cassonetto Rca - rifiuto con affetto”. Si tratta di un progetto
nato dall’iniziativa di Maddalena Vantaggi, designer dell’Università di Venezia,
che, con due colleghe, ha creato un cassonetto-vetrina, dove depositare gli
oggetti che si vorrebbe dar via perché non ci servono più, ma ai quali siamo
affezionati. La filosofia di fondo è che ciò che appare inutile per una persona
può diventarlo per un’altra; inoltre, la vetrina spesso diventa luogo di
scambio tra oggetti e occasione di incontro tra persone.
Tra gli effetti non di poco conto va sottolineato il fatto
di rimettere in circolazione beni ancora in buono stato e allungare il ciclo di
vita di un oggetto. A tal proposito torna in mente quanto sostiene Guido Viale,
economista, autore del libro La civiltà
del riuso (ed. Laterza), che, cioè, anche gli oggetti hanno un’anima. Essi
«sono la creatività, la fatica e le attenzioni che hanno contribuito a
produrli, e poi la cura di cui sono stati circondati durante la loro vita. Il
loro riuso è il modo in cui il consorzio sociale, o amicale, o famigliare,
raccoglie e valorizza» tutto ciò.
L’economista parla anche di alcuni ostacoli nella promozione
di una cultura del riuso: quelli che si frappongono all’intercettazione di quanto
viene dismesso; la mancanza di abilità tecniche necessarie per il recupero e la
manutenzione degli oggetti vecchi; ostacoli di tipo amministrativo e fiscale.
Ma sostiene anche che una civiltà del riuso non è impossibile da realizzare e
conviene a chi cede e a chi acquista, fa diminuire la produzione di rifiuti,
stimola la condivisione e la socializzazione e aumenta l’occupazione. In
effetti, sono 12 mila gli addetti al settore della vendita al dettaglio di oggetti
di seconda mano; e, se il settore crescesse, forse pure il Pil ne risentirebbe
meno, anche se non aumenterebbero i consumi. Alla lunga, però, consumare meglio
avrebbe benefici duraturi anche sul Pil.
Aurora Nicosia
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giovedì 15 dicembre 2011
Eco Bazar

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