mercoledì 18 dicembre 2013

Il tasso soglia



I trucchi delle banche non si verificano solo a livello macroeconomico come attesta una recente multa di 1,71 miliardi di euro affibbiata a grandi banche che manipolavano i tassi a breve tempo dell’euro, facendo cartello tra banche che dovrebbero essere in concorrenza allo scopo di utilizzare al meglio i guadagni dei derivati.  (vedi articolo di Giuditta Marvelli sul Corriere delle sera del 5 dicembre 2013 a pagina 31). Sembra una notizia che vola alta sopra le nostre teste, invece, risulta che più del 90 per cento dei nostri correnti bancari, analizzati dalla Cofi, leader in Italia nel settore dei controlli bancari, risultano irregolari. I tassi di interesse, per esempio, che la banche richiedono per i vostri mutui, prestiti e fidi, non devono superare il cosiddetto tasso soglia, un tasso di interesse massimo che non può per legge essere oltrepassato perché si commette usura. Ma è un calcolo troppo complicato da effettuare da soli, anche se potete provarci all’indirizzo: http://www.altroconsumo.it/soldi/mutui/speciali/tasso-usuraio-verificate-che-il-vostro-prestito-non-lo-raggiunga-la-legge-vi-tutela. Di fatto succede che paghiamo, spesso, interessi maggiori del dovuto con spese aggiunte, maggiorate e camuffate che superano la soglia consentita dalla legge. Se ciò avvenisse e potete dimostrarlo sarebbe una grande notizia. Per legge le banche sono costrette a restituire gli interessi pagati e non dovuti e, inoltre, potete restituire solo la quota capitale del mutuo che avete ancora in essere senza pagare più interessi alla banca. Sarebbe un vero bingo e lo prevede una recente sentenza della cassazione del gennaio 2013. Si può chiedere la restituzione per un mutuo contratto o estinto nel limite di un decennio perché prima scatta la prescrizione. È una vera e propria truffa difficile da individuare se non rivolgendosi ad associazioni per i consumatori come Adiconsum o a società come la Cofi.

giovedì 21 novembre 2013

Non comprate un’auto: affittatela



Non è solo questione di vita sobria, di minor impatto ambientale perché affittare un’auto, conti alla mano, conviene in ogni caso ai singoli e alle città. È un’ottima alternativa all’acquisto, soprattutto di una seconda auto: a Milano restano parcheggiate per il 97 per cento del tempo. E il costo medio, oltre alle spese per l’acquisto, è di 3500 euro l’anno per percorrere 5 mila chilometri.
Il Sole24 calcola che il costo di esercizio di una utilitaria per 5mila chilometri, calcolando 0,72525808 euro a chilometro, è di 3.600 euro, mentre per 10mila chilometri, calcolando 0,46965776 a chilometro, si arriva a 4.700 euro. Il costo di un car sharing per l’iscrizione varia da: 19 a 120 euro per anno. L’utilizzo per 2 ore e 50 chilometri: dai 27 ai 30 euro. Per 100 utilizzi annuali sono circa 3mila euro. Una nuova formula innovativa è Car2go perché basta associarsi e si può con una app si può prendere e lasciare la macchina dove si vuole all’interno dell’area metropolitana di Milano. È una formula efficiente e competitiva che ha già raggiunto 50 mila iscritti. Funziona anche per i giovani, per cui non è sempre necessario comprargli la macchina, tanto che nel 2014 Car2go approderà anche a Bologna, Firenze e Roma. Da fine anno ci sarà a Milano la concorrenza, per il libero mercato del car sharing di Eni (con Fiat e Trenitalia come partner) con le autovetture, come Car2go, che si potranno prendere e lasciare in qualsiasi punto all'interno dell’area coperta. A Napoli, invece, operano Bee green mobility sharing e Ci.ro, mentre e-Vai fornisce auto elettriche alle stazioni di Trenord in Lombardia. In tutta Italia il servizio di car sharing è attivatoin una ventina di città, tra cui Bologna, Genova, Milano, Palermo, Roma, Torino, Venezia.
In Europa, secondo una ricerca, entro il 2020, gli iscritti saranno 15 milioni, mentre i veicoli in condivisione arriveranno a quota 240 mila, per un terzo a propulsione elettrica. 



Tre vantaggi
1) Risparmio sulle spese di acquisto e dei costi di esercizio di un'auto
2) Accesso a corsie preferenziali, a Ztl e a posti riservati (secondo il gestore)
3) Meno traffico e inquinamento e più spazi disponibili per i parcheggi
Tre svantaggi
1) Bisogna attivarsi per ogni utilizzo
2) Se si va e si resta in un luogo si paga anche la permanenza prima del ritorno o si deve disattivare il servizio
3)Per spostamenti più lunghi o per più giorni può essere opportuno avere o noleggiare un mezzo


lunedì 4 novembre 2013

Il positivo della crisi

La crisi continua a mordere e molti economisti ancora non vedono la luce in fondo al tunnel. In ogni caso la parabola discendente dell’economia occidentale non è inutile, ci ha insegnato che è effimera la felicità promessa del consumismo e abbiamo imparato che ci sono degli effetti positivi sui comportamenti dei singoli e degli Stati. Aumentare le tasse, per esempio, su alcool e fumo, com’è successo in Gran Bretagna e in Finlandia ha avuto ricadute positive sulla salute dei cittadini, sono diminuite le malattie correlate all’uso di tabacco e Bacco. Vuol dire meno spese per la Sanità, meno uscite personali per vizi inutili. La mancanza di risorse, anche se il costo del carburamte è diminuito del 5,5 per cento, ha costretto a usare meno la macchina. Vuol dire crescita dell’uso di trasporto pubblico, diminuzione del traffico perché, dove è possibile, ha avuto un grande incremento l’uso della bicicletta. Effetti collaterali: città un po’ meno congestionate dal traffico, riduzione di anidride carbonica nell’atmosfera e, soprattutto, calo dei morti per incidenti stradali.
Tra gli effetti positivi anche il recupero del fare, della manualità. Dal pane fatto in casa all’orticoltura, alla riparazione di oggetti che prima si cestinavano con facilità. Mia moglie con un euro di farina fa a mano il pane per un’intera settimana, anche se è vero che ne mangiamo poco, e una teglia di pizza con 0,60 centesimi di farina.
Fare significa per l’antropologo Tim Ingold che ha appena pubblicato Making intraprendere un lavoro creativo che implica maestria, intelligenza, rivalutando quel lavoro manuale che ha fatto grande l’Italia. Riscoprire antichi e nuovi mestieri, lavori legati all’agricoltura, al manifatturiero, al territorio potrebbe essere una via di rilancio perseguibile. Da grandi artigiani è nata la moda italiana, da ottimi cuochi e viticoltori la cucina e l’enogastronomia. «Il fare − scrive Adriano Favole sul Corsera − non è un’attività ancillare e secondaria rispetto al conoscere, ma è espressione di quel sapere incorporato in cui forma e materia si compongono in una tessitura complessa e inestricabile». Il fare artigianale garantisce innovazione, sperimentazione, originalità, personalismo e non è inferiore alla serialità industriale e ingegneristica.

lunedì 2 settembre 2013

Start. Ricominciare.



A settembre riprendono tutte le attività di studio e di lavoro. Come conservare il tesoretto di buonumore conquistato ad agosto?


È uno strano Paese l’Italia. Le ferie, a differenza di altre nazioni, si fanno quasi solo ad agosto, il mese dominante del vuoto civile, del riposo a tutti i costi, delle strade vivibili, del buonumore da ritrovare. Tempo utile anche per riscoprire quelle bellezze artistiche che non si ha, nella propria città, mai tempo di frequentare, magari in bicicletta. Sì perché il tempo e lo stress sono le variabile fondamentali dell’asse cartesiano moderno che non disegna più una linea di confine tra la vita, il tempo libero e il lavoro. Non si ha mai tempo per sé, per riposare bene, per staccarsi dal lavoro, per nutrirsi bene, per curare il proprio corpo, per fare sport, per trovare degli spazi di benessere, con sé e con gli altri. Si vorrebbe che ci fosse un po’ di vacanza ogni mese, ogni settimana, ogni giorno senza essere travolti dalla centrifuga quotidiana di impegni, figli, lavoro e riuscire a prolungare gli effetti benefici oltre il fatidico mese di agosto.

Per ricominciare si potrebbe pensare a programmare per prime le cose a cui mai si pensa: lo sport, il riposo, le prossime vacanze, il tempo dedicato a moglie, figli, amici e a coltivare l’interiorità. In tempi di tagli alle spese per le famiglie dove si compra meno pane e cereali, si rinuncia alle visite mediche, si beve la birra perché meno costosa del vino e i consumi per abbigliamento, giornali, riviste, auto crollano dal 20 al 30 per cento non c’è certo da stare allegri. Ma la riscoperta della cucina povera, di non sprecare più nemmeno il pane, ma di riscaldarlo e riciclarlo, di una semplice passeggiata all’aria aperta, di una buona lettura per arricchire la mente e lo spirito, di una chiacchierata in salotto a tv, tablet, ipad, telefono, computer spenti, sono ingredienti che danno sapore alla vita, sprigionano un retrogusto dolce per le amarezze della giornata e profumano anche le giornate piovose.

L’Italia, si sa, ha ben altri problemi, ma per sopperire allo sconfinamento tra vita e lavoro, in Giappone le aziende e i governi locali devono tenere sotto controllo il giro-vita dei cittadini tra i 40 e i 74 anni, il limite è 85,09 centimetri per gli uomini e 90 per le donne. In Cina, a Pechino, i dipendenti pubblici sono obbligati a fare ginnastica due volte al giorno sul luogo di lavoro. Che la magrezza e la mente sgombra siano uno dei segreti della crescita del Pil e del benessere? Il fatto di avere uno stomaco un po’ più vuoto ci obbliga a riempire la mente di pensieri, iniziative, idee? Non è mai stato dimostrato un legame di causa ed effetto, ma di certo l’Europa è anziana e stanca, l’Asia proiettata verso il futuro. Un motivo ci sarà.

Dal ritorno dalle vacanze converrà programmare il riposo e un paio di gite fuori porta, in un luogo da ricordare, in Italia non ne mancano. Sono emozioni positive che non dissipano il tesoretto di buonumore accumulato in villeggiatura. Permettono l’esposizione ai raggi solari che sono un toccasana perché proteggono la salute del cuore e del cervello, regolando, tra l’altro, il tono dell’umore.

Buonumore che cresce quando una famiglia non è debole nei suoi rapporti interni ma è ricca di affetti e di dialoghi che generano apertura e azioni per gli altri, per il bene comune, in tutti campi: assistenziale, culturale, politico, educativo, sportivo.

lunedì 15 luglio 2013

Auto tarocche



Quanto consuma e, quindi, quanto inquina la mia auto? Sembrerebbe un rebus di facile soluzione, ma non lo è perché le case automobilistiche danno indicazioni fuorvianti, tanto per usare un eufemismo. L’importante, anche in tempi di crisi, è vendere, costruirsi una gabbia di parametri legali con cui leggere i dati dei consumi e le conseguenti emissioni e spacciarle per autentiche. In attesa dell’auto elettrica a zero emissioni e più economica, attorno ai 5 mila euro, che sarà prodotta nel 2014 in Germania, non è nuova, in realtà, la notizia che le case automobilistiche barano per difetto sulle emissioni di Co2. Lo fanno da anni, come prassi consolidata e consuetudine, quasi una norma non scritta del diritto internazionale. Ed anche nel 2013 la tradizione è rispettata. Quindi, crisi o no, l’andazzo sembra più correlato alla natura umana e all’anima dei meglio commercianti. E più la crisi è profonda più salgono gli scarti tra emissioni dichiarate e effettive.
Un rapporto dell’Icct, l’International council on clean transportation, denuncia che «mentre la differenza tra i test in laboratorio e i risultati durante l’uso era sotto il 10 per cento nel 2001, nel 2011 aveva già raggiunto il 25 per cento». Guidano la classifica dei dati taroccati, tra il 25 e il 30 per cento, le marche tedesche: Bmw, Audi, Opel, Mercedes. Seguono a ruota Fiat, Volkswagen, Fiat e Ford, tra il 20 e il 25 per cento, e Renault, Peugeot-Citroen e Toyota con una media attorno al 15 cento. La questione delle emissioni non è marginale, perché la sensibilità dei cittadini europei verso un minor impatto ambientale è cresciuta procurando una maggiore indignazione e insofferenza verso modalità di rilevamento fuori della realtà. Per chi volesse approfondire può leggere l’intero rapporto From laboratory to road.
L’equivoco fondamentale nasce dal fatto che i test sulle emissioni sono fatti in laboratorio. La prima variabile è costituita dal guidatore e dal suo personale stile di guida che non è in ogni modo codificabile. Il dato essenziale è che lo scarto tra dati dichiarati e reali aumenta di anno in anno in ogni tipo di fonte esaminata. È ragionevole pensare che lo stile di guida, negli ultimi 10 anni non sia variato sensibilmente, mentre la discrepanza è dovuta all’uso, nei test, per esempio del dispositivo star/stop. Il 25 per cento del test, che si chiama Nedc, per determinare i consumi nell’uso urbano prevede che l’auto stazioni in sosta col motore “al minimo”. «Ma siccome ‒ spiega il sito greenMe.it ‒ quando la macchina è ferma il motore di un’auto con start/stop è spento, ecco che i valori delle emissioni di CO2 e il consumo rilevati durante il collaudo scendono drasticamente. Certo, lo start/stop è veramente utile a diminuire le emissioni, ma il risultato dei test di omologazione è chiaramente falsato».
Altri fattori che inficiano il test sono l’eccessiva possibilità di variabilità del tipo di procedure e la possibilità di effettuare il Nedc con l’aria condizionata spenta, mentre nella realtà l’uso, negli anni, è molto aumentato e così la relativa emissione di Co2. Il problema è anche economico, perché uno scarto del 25 per cento comporta una spesa maggiore di 300 euro l’anno e maggiori danni all’ambiente. La soluzione prospettata è un nuovo ciclo di omologazione, proposto dalle Nazioni unite, che tutela maggiormente i consumatori, il Wltp, che dovrebbe entrare in vigore nel 2007.

lunedì 24 giugno 2013

Io condivido il cibo



Un nuovo modo per combattere gli sprechi e aiutare chi ha più bisogno. Quello che colpisce appena si entra nel sito web è la frase «condividere il cibo è un atto d’amore». Ed è proprio vero, anche se si pensa che ogni anno in Italia si buttano via 12,3 miliardi di euro di cibo e più della metà può essere recuperato. Sicuramente nelle dispense delle nostre cucine ci sono alcuni alimenti che non riusciamo a consumare. E intanto si avvicina la data di scadenza, ma il suo destino è segnato nel cestino dei rifiuti. E invece potrebbe essere destinato ad altro, come ad esempio al “dono”.
Pensiamo alle infinite dispense degli alberghi italiani, dove spesso non vengono utilizzati tutti gli alimenti a disposizione e quanti pensionati e famiglie non riescono più ad arrivare a fine mese e hanno difficoltà nel fare la spesa! L’esperienza della piattaforma web per condividere il cibo in eccesso è partita in Germania qualche mese fa, dove un gruppo di persone ha dato vita ad un’associazione per dare un contributo alla lotta agli sprechi. In sei città tedesche nel dicembre scorso è partita la piattaforma web dove poter avviare lo scambio gratuito dei cibi in eccesso. Nella prima settimana di attività lo hanno usato più di 2500 persone.
In Italia invece quattro giovani catanesi hanno inventato il sito web “I food share”, io condivido il cibo. Il meccanismo di scambio è molto semplice: una volta che ci si è registrati, si può inserire la propria offerta alimentare e il sistema automaticamente la pubblicherà con la città di riferimento dove il prodotto è disponibile, la sua data di scadenza e i riferimenti del donatore. Chi desidera richiedere una “cesta alimentare”, non dovrà fare altro che mettersi in contatto con il donatore attraverso un sistema di messaggistica interna e concordare le modalità di ritiro. Possono registrarsi tutti: singoli cittadini, rivenditori, produttori, aziende. Chiunque può essere donatore. Tra i destinatari si trovano ong, parrocchie, associazioni, ma soprattutto persone bisognose. 

                                                                         Lorenzo Russo

venerdì 7 giugno 2013

Energia quasi zero



Lombardia all’avanguardia nella costruzione di edifici a basso impatto ambientale

Riqualificazione energetica degli edifici, per rilanciare il settore delle costruzioni contro la crisi. In Lombardia non si scherza. Ma a dare le indicazioni è l’Unione europea che prevede che entro il 2020 tutti i nuovi edifici dovranno essere a energia “quasi zero”  (data anticipata al 2018 per gli edifici pubblici). L’obiettivo della Lombardia è quello di anticipare la data al 2015, sia per gli edifici pubblici che privati. Una meta abbastanza ambiziosa, ma non impossibile, visto che allo stato attuale la regione ha raggiunto il record di mille edifici certificati secondo la classe energetica A+ (che identifica il concetto di Edificio a “Energia quasi zero” introdotto dalla direttiva europea 2010/31/Ue), mille edifici rilevati dai dati del catasto energetico edifici regionale (Ceer), sviluppato e gestito da Finlombarda S.p.A. per conto di Regione Lombardia. Il 90 per cento ha carattere abitativo e il restante 10 per cento ha destinazione d’uso non residenziale (cioè uffici e ad attività commerciali e industriali).
Per quanto riguarda la collocazione di questi edifici, una maggiore concentrazione si evidenzia nelle aree più popolose: al primo posto la provincia di Milano (25 per cento del totale), seguita dalla provincia di Brescia (21 per cento del totale) e dalla provincia di Bergamo (14 per cento del totale). Nonostante l’andamento verso un’alta prestazione energetica, a prevalere sono purtroppo ancora gli edifici certificati secondo la classe energetica più bassa, “G”, pari a oltre la metà del totale degli edifici lombardi certificati (dal 2007 sono oltre un milione).

Finlombarda S.p.A. con il contributo scientifico del Dipartimento di Scienza e tecnologie dell’ambiente costruito (Best) del Politecnico di Milano, ha raccolto 29 esempi di edifici energeticamente virtuosi in cui sono dettagliate le tipologie edilizie e destinazioni d’uso. Da questa raccolta è nata la Photogallery Cened, consultabile sul portale dedicato alla certificazione energetica degli edifici (www.cened.it), dove è possibile accedere a schede dettagliate corredate di foto e descrizioni delle soluzioni impiantistiche e architettoniche dei vari edifici, selezionabili per provincia, comune e classe energetica (A+, A e B) di appartenenza.

venerdì 24 maggio 2013

Gomme riconvertite

Asflati più duraturi e meno rumorosi, delimitatori di corsia, dissuasori di sosta, ma anche campi da calcio, piste di atletica, lampade per la scrivania… sono alcuni esempi di migliaia di prodotti che si possono realizzare con la gomma dei pfu, ovvero gli pneumatici giunti a fine vita. Quando queste gomme non hanno più le caratteristiche idonee alla circolazione su strada, vengono tritate e trasformate in minuscoli granuli (inferiori al millimetro), pronti così per essere trasformati in altri prodotti.
Ecopneus, società senza scopo di lucro e principale responsabile della gestione di raccolta e recupero dei pfu in Italia, promuove la diffusione dei prodotti contenenti gomma riciclata dagli pneumatici. Conta tra i soci, 59 aziende produttrici e importatrici di pneumatici in Italia e dal 2011 è impegnata nella riconversione dei pfu, curandone la raccolta e il recupero. Sul proprio sito web (www.ecopneus.it) è disponibile un catalogo liberamente consultabile, con marca e prezzo. Sono prodotti che trovano moltissime utili applicazioni in settori anche molto diversi tra loro come quello delle infrastrutture viarie, dell’arredo urbano e dello sport. Troviamo ad esempio pannelli per l’isolamento acustico e termico, le pavimentazioni antiscivolo per il bordo piscina, i tappeti antitrauma per le aree gioco dei bambini, ma anche accessori per l’ufficio come le penne, il portapenne da scrivania, le cartelle porta documenti o la lampada da tavolo.
Di recente il ministero dell’Ambiente ha firmato un protocollo d’intesa con Ecopneus, prefettura e comune di Napoli, con l’obiettivo di ripulire l’intera area del comune dove giacciono pneumatici abbandonati. Un’area colpita da roghi tossici di rifiuti, alimentati proprio dai pfu. Un’attività illegale in forte aumento che distrugge uno dei territori più belli d’Italia.
Ecopneus è stata scelta come partner del ministero dell’Ambiente grazie non solo all’efficienza dimostrata nel primo periodo di attività ma anche all’impegno costante nella tutela del territorio italiano, avendo già recuperato circa 20 mila tonnellate di pfu abbandonate illegalmente in alcune aree industriali di Ferrara, Buccino (Sa), Oristano e Olbia nel corso del 2012, e a Poviglio (Re) e Aulla (Ms) nei primi mesi del 2013.





                                                                              Lorenzo Russo




giovedì 16 maggio 2013

Come misurare il benessere



In un ascensore di New York due vecchi amici, ancora giovani per la verità, s’incontrano e incuranti degli estranei si chiedono due domande fondamentali. «Che ruolo hai nella tua azienda e quanto guadagni?», che in inglese suona: «How much you make?». Stile diretto, veloce, del resto siamo in ascensore, dove l’unità di misura della qualità della vita è il denaro, in questo caso il dollaro. Come per le persone accade con gli Stati, non solo Uniti. L’unico indicatore dello stato di salute di un Paese è il Pil e la felicità fa ancora rima con liquidità. Senza nulla togliere all’importanza del contante e ai parametri economici, oggi è ampiamente avvertita la necessità di valutare il benessere con l’aggiunta di nuovi indicatori perché non tutto è monetizzabile. Per questo motivo il Cnel e l’Istat hanno elaborato il Bes, il benessere equo sostenibile, per monitorare le condizioni economiche, sociali, ambientali in cui viviamo con uno spettro di dimensioni molto più ampie che aspirano a diventare una sorta di “Costituzione statistica” per tracciare la direzione del progresso nella società italiana bilanciato dall’eguaglianza e dalla sostenibilità. Le dodici dimensioni del benessere si articolano analizzando la salute e gli stili di vita della popolazione, l’istruzione e la formazione permanente, il lavoro e la conciliazione dei tempi di vita, il benessere economico, le relazioni sociali, la politica e le istituzioni, la sicurezza, il livello di soddisfazione per la propria vita, il paesaggio e il patrimonio culturale, l’ambiente, la ricerca e l’innovazione, la qualità dei servizi. È dalla combinazione di questi elementi, dall’armonia e l’equilibrio di come sono vissuti a livello personale e collettivo che nasce un nuovo paradigma per misurare le criticità dell’esistente e per segnare un percorso per il futuro. E sono molti gli studi, le proposte e gli indicatori alternativi al Pil che sono stati elaborati in molti Paesi, basti pensare all’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, al Fil (Felicità interna lorda) che si calcola nel piccolo regno asiatico del Bhutan. L’importante è non valutare più la nostra vita e quelli degli Stati solo con il Pil ma con un modello organizzativo che valuti tutti gli aspetti della vita come già descritto nel libro Con stile di Città Nuova. Il benessere passa dalla semplicità e dalla complessità della vita umana.

venerdì 19 aprile 2013

Spesa gratis in cambio di lavoro



In Italia la percentuale di povertà negli ultimi anni è aumentata e molte persone non sanno proprio come fare per arrivare a fine mese. Ma contro questo dato sempre più dilagante, arriva una nuova esperienza all’insegna della solidarietà e del bene comune. A Modena a maggio aprirà l’Emporio Portobello, dove potranno entrare solo persone con difficoltà economiche. Circa 450 famiglie, questi i numeri che stimano i responsabili del Centro per il Volontariato del capoluogo emiliano, che hanno avviato l’iniziativa in collaborazione con vari enti, tra cui l’assessorato alle politiche sociali del comune.
«Verranno classificate le famiglie in base alla condizione economica, alla disoccupazione e al numero dei figli - afferma Angelo Morselli, presidente del Centro Volontario di Modena - e a ognuna verrà riconosciuto un punteggio che verrà caricato ogni mese su una tessera magnetica. Queste famiglie potranno accedere all’emporio e fare la spesa. La differenza con i normali supermercati e che quando si arriva alla cassa, i prodotti vengono passati in maniera uguale sul lettore a barre, ma invece di pagare col bancomat, si utilizzerà la tessera magnetica che scalerà i punti».

Oltre al requisito economico, gli ideatori del progetto chiedono altre due cose: la disponibilità a cambiare il proprio stile di vita facendolo diventare più responsabile e sostenibile, e la volontà a prestare la propria opera, una volta a settimana (anche in modalità part-time), per compiere lavori all’interno della struttura. In questo modo, i clienti, si sentiranno pienamente coinvolti nel percorso di uscita dalla situazione (economica) di disagio. La partecipazione al progetto avrà una durata massima per famiglia pari a due anni. Trascorso tale termine, ovvero se durante il biennio stesso le condizioni economiche del nucleo familiare dovessero migliorare, il beneficio sarà sospeso per consentire ad un’altra famiglia di poter essere inclusa nel progetto.
La missione del centro sarà quindi quella di fungere da valido punto di riferimento per tutti i disoccupati che vorranno prestare la propria attività lavorativa nel centro, essendo pagati con generi alimentari per far fronte alle primarie necessità di sussistenza.

Lorenzo Russo


mercoledì 3 aprile 2013

Oggi offro io. Un ricettario contro la crisi






Quante volte abbiamo sentito al bar o al ristorante questa frase: «Oggi offro io!». In tempi di crisi, a dir la verità, sempre meno. È calato drasticamente anche il semplice consumo di caffè al bar, dove a turno si pagava o si poteva arrivare alla cassa e scoprire che la consumazione era già stata saldata da un amico o conoscente. Un atto positivo, ma che non esprime in sé una profondità di relazioni. E oggi, proprio per evitare di pagare un caffè ad altri, al bar si cerca di non entrarci nemmeno. La crisi, però, non è solo economica, ma di relazioni umane sempre più sfilacciate, veloci, liquide. Non occorre molto, non servono soldi, non è una perdita di tempo investire in un saluto ben fatto che denota attenzione gratuita ad una persona fino a poter generare uno scambio di frasi, un condividere il proprio vissuto su: famiglia, lavoro e salute. La noia, l’infelicità, la solitudine della vita deriva dalle povertà relazionali, a partire dai rapporti più ravvicinati. Dedicare tempo alla famiglia, agli amici, a se stessi, agli altri è la cura contro i legami fragili, frettolosi, fugaci. «La felicità di una persona‒ scrive Tibor Scitovsky in Joyless Economy ‒ dipende dalla sua relazione con la felicità dei vicini di casa». La felicità, dunque, si annida nel cuore dei rapporti umani. Lo sa bene la Caritas che con la campagna Oggi offro io vuole trovare attraverso le relazioni umane le giuste soluzioni per aiutare le persone in difficoltà. Solo a Roma ogni anno, in media, si sprecano 42 chili di alimenti a testa per una spesa di 117 euro. Nelle nostre città vive un popolo silenzioso, a volte visibile, più spesso invisibile, di anziani soli, disoccupati, famiglie indebitate, povere e sfiduciate, giovani fragili che cercano un pasto nelle mense e negli empori della Caritas che distribuiscono cibo e occasioni di dialogo. All’indirizzo www.caritasroma.it/2013/03/un-ricettario-contro-gli-sprechi/ si può scaricare un ricettario contenente alcune proposte culinarie curate dal noto chef Paolo Cacciani con tante idee per riutilizzare il pane avanzato. Si va dagli antipasti con i funghi ripieni ai canederli allo speck in brodo, dagli involtini di scarola fino alla torta di pane avanzato. Utilizzare al meglio ciò che si compra è già un modo di investire bene le proprie risorse. Se, poi, si dona quanto risparmiato per i più poveri, vuol dire «impegnarsi ‒ diceva Giovanni Paolo II ‒ per il bene comune, perché tutti siamo responsabili di tutti».


martedì 12 marzo 2013

Le batterie alcaline “usa e getta” non si buttano più




Sì, avete letto bene! Le normali batterie alcaline “usa e getta” ora si possono ricaricare e ri-usare. Una vera rivoluzione green nel mondo delle batterie.
Ark, società con sede a Treviso, annuncia la disponibilità sul mercato di ReVita, una nuova linea di caricabatterie che permettono di rigenerare e ricaricare anche le normali batterie alcaline stilo e ministilo che in genere, dopo l’uso, vengono buttate negli appositi contenitori di raccolta e poi avviate a riciclo.
Questa nuova tecnologia di caricabatterie avrà sicuramente conseguenze sulla filiera produttiva e sul mercato con una possibile riduzione dell’impatto ambientale. Ricordiamo che le pile contengono sempre metalli pesanti e mercurio, dannosi per l’ambiente.
La tecnologia ReVita è coperta da brevetti internazionali (Usa, Cina Giappone, Taiwan, Australia, Germania e Italia) ed è stata testata da autorevoli e indipendenti laboratori di ricerca internazionali per un periodo di 10 anni e nessun altro prodotto presente sul mercato afferma l’azienda madre è in grado di dare garanzia di funzionamento e di stabilità.
A differenza dei comuni caricabatterie, ReVita dispone di una circuito diviso in quattro sezioni. Ogni batteria è caricata individualmente ed ogni circuito è controllato da un apposito microprocessore il quale verifica la temperatura e la tensione durante tutto il ciclo di carica, garantendo efficacia e sicurezza di utilizzo.
Attualmente sul mercato sono stati diffusi 3 modelli di caricabatterie: il modello RV1, di rete 220V, con spazio per ricaricare contemporaneamente fino a 4 batterie, il modello RV2 sempre a 4 spazi ed alimentabile direttamente da una porta mini USB, o dall’alimentatore di uno smartphone mini USB, ed il modello più compatto RV3, anch’esso USB, con scomparti per due sole batterie. I prezzi variano da 24 a 33 euro.
Ogni caricabatterie permette di ricaricare anche una sola batteria alla volta oppure batterie diverse anche di differenti produttori. Inoltre si possono ricaricare anche le batterie ricaricabili da 1.2 V NiMh o NiCd. Un prodotto interessante e molto conveniente, sia per l’ambiente che per le proprie tasche.

Lorenzo Russo

venerdì 22 febbraio 2013

Le famiglie riducono la spesa



Dall’agenzia Dires leggiamo la notizia che la crisi ha svuotato negozi e supermercati e le vendite al dettaglio sono crollate, facendo segnare nel 2012 il dato peggiore da diciassette anni. Agli italiani insomma «non basta più tagliare il superfluo: le minori disponibilità economiche hanno imposto una dura spending review anche sulla tavola, con più della metà delle famiglie (il 53 per cento) che riduce di netto i volumi di spesa alimentare». Lo afferma la Cia - Confederazione italiana agricoltori, commentando i dati Istat. Neppure Natale è servito a risollevare i consumi, «con le vendite di prodotti alimentari calate del 2,7 per cento a dicembre». D’altra parte, «con l’austerity e l’aumento degli oneri fiscali, le famiglie hanno rivisto la lista delle priorità e riscritto il modo di comprare: oggi il 28 per cento compra quasi esclusivamente nelle cattedrali del low-cost e il 34 per cento opta per cibi di qualità inferiore perché sono molto più economici». Inoltre, osserva la Cia, «nelle dispense si moltiplicano cibi in scatola e surgelati e si ricorre sempre più spesso al junk food, a tutto discapito dei prodotti freschi: nell’ultimo anno, ad esempio, ben il 41,4 per cento delle famiglie ha ammesso di aver diminuito i consumi di frutta e verdura». Dati che si rispecchiano nell’andamento delle tipologie commerciali: «nel 2012, infatti, a crescere sono soltanto i discount (+1,6 per cento) ‒ osserva la Cia ‒ mentre i supermercati “resistono” con un + 0,1 per cento e le piccole botteghe di quartiere precipitano al ‒3 per cento”. Addirittura anche gli italiani che non rinunciano ai prodotti biologici, ora li vanno a comprare negli esercizi più cheap: negli ultimi dodici mesi la spesa “bio”nei discount ha avuto un incremento record pari al +25,5 per cento, soppiantando di gran lunga quella al supermercato (+5,5 per cento)».

mercoledì 20 febbraio 2013

Fino all'ultima goccia



La Booz & Company è la più importante azienda di managment consulting del mondo nata dall’idea, nel 1914, che per sviluppare i propri affari è meglio avere un giudizio imparziale da esperti esterni alla propria compagnia. Una loro recente ricerca pubblicata sul Wall Strett Journal rivela che dal 3 al 25 per cento dei prodotti resta all’interno delle confezioni senza poter essere usato. Nel dentifricio resta dal 3 al 5 per cento del prodotto, nello shampoo fino al 10 per cento, nei flaconi con dosatori tipo sapone liquido o maionese viene trattenuto fino al 25 per cento del prodotto. Se siete abituati a spremere, aprire le confezioni, tagliare gli involucri per godere fino all’ultima goccia del prodotto avete ragione. Non siete tirchi, siete nella norma del 50 per cento degli americani che usa farlo, anche perché, per esempio, per le creme di bellezze, provoca una certa irritazione lasciare rimasugli che valgono anche svariati euro. Anche le aziende se ne sono accorte e corrono ai ripari contro per migliorare la loro offerta progettando nuovi packaging, cioè la tecnologia delle confezioni e degli imballaggi, anti spreco tipo: dosatori sottovuoto, spatole incluse nella confezione per raccogliere il prodotto, contenitori trasparenti per vedere quanto prodotto è rimasto. Nel frattempo ci si può arrangiare con rimedi autogestiti. Consigli: tagliare i flaconi di plastica come dentifrici e gel per recuperare le ultime gocce; svuotare con il dito le creme che restano sul fondo del barattolo; aggiungere acqua per non sprecare le ultime gocce di detersivo o di shampoo Quali sono i vostri rimedi anti spreco fai da te? Inviate i vostri commenti.