venerdì 21 dicembre 2012

L’abbiamo imbroccata



Acqua di rubinetto nei locali, meno bottiglie in circolazione

I territori di Milano e provincia godono di un’interessante iniziativa che aiuta i cittadini a ridurre l’uso delle bottiglie d’acqua. “L’Abbiamo Imbroccata!”, questo il titolo del progetto lanciato dalla Fondazione rete civica di Milano, Legambiente Lombardia, Università Bicocca, con la partecipazione di altre associazioni e fondazioni locali. Attualmente l’iniziativa coinvolge 126 locali fra agriturismi, ristoranti, trattorie, bar e uffici dove viene servita acqua di rubinetto invece di quella in bottiglia. Il risparmio è assicurato: in un anno 1.500.000 bottiglie di plastica in meno e più di 100 tonnellate di anidride carbonica non emessa in atmosfera (meno produzione di plastica e meno trasporto). «È fondamentale informare i gestori dei locali che l’acqua che sgorga dai rubinetti dei loro esercizi è buona e controllata dichiara Massimo Labra, Università Bicocca di Milano –; se hanno dei dubbi noi la analizzeremo e spiegheremo loro il significato di ciascun parametro».
Secondo i dati Istat, la fiducia delle famiglie italiane nei confronti dell’acqua del rubinetto è aumentata negli ultimi anni: se nel 2002 il 40 per cento ammetteva la propria sfiducia, nel 2011 il rapporto è diminuito a solo 3 famiglie ogni 10. Un aumento dell’apprezzamento dovuto anche al costo dell’acqua in bottiglia: la spesa mensile per l’acquisto di acqua minerale infatti è di oltre 19 euro, pari quasi a quanto si paga per il servizio di acqua potabile, circa 20 euro. Chi si affida all’acqua in bottiglia paga due volte l’acqua che beve.
«Il grande valore del progetto sta nel dimostrare tutta la potenzialità della partecipazione attiva dei cittadini dichiara Mario Sartori, direttore Fondazione rete civica di Milano –, ma anche degli operatori economici al cambiamento verso stili di vita sostenibili».
Gli ideatori del progetto hanno un obiettivo per il futuro: far aderire tutti i 1700 ristoranti presenti tra Milano e provincia. In questo modo si potrebbe arrivare a evitare il consumo di oltre 20 milioni di bottiglie di plastica all’anno, con un risparmio di oltre un milione e 400 mila chilogrammi di CO2. Senza considerare i costi ambientali del trasporto delle bottiglie di minerale, che secondo una stima ogni giorno percorrono in media 350 chilometri sulle strade italiane.

Lorenzo Russo

lunedì 17 dicembre 2012

Meglio il metano

Fine anno, per chi può permetterselo, è anche tempo di acquisto di una nuova automobile. Fioccano gli sconti, promozioni a tasso zero, o presunto tale, super offerte. La cosa migliore sarebbe scegliere un veicolo a gas per il risparmio sui costi e il minor impatto ambientale. Nei primi dieci mesi del 2012 le vendite di auto a Gpl sono aumentate del 132 per cento. E il risparmio è ancora maggiore con il metano. Secondo la rivista Al volante una Panda con 50 euro di benzina percorre 425 chilometri, con lo stesso importo a gasolio i chilometri sono 541 e con il gpl sono 686 chilometri. Esistono, persistenti, alcuni pregiudizi verso l'alimentazione a gas. Il metano è ancora meglio del gpl perché costa meno, le emissioni sono inferiori ed è meno infiammabile. Mentre nei traghetti le macchine alimentate a gpl devono essere parcheggiate in appositi luoghi, le macchine a metano non hanno più limitazioni di parcheggio. Alla paura di viaggiare con una bomba a gas sotto il sedile, gli esperti spiegano che è meno pericoloso della benzina perché in caso di perdite non si accumula a terra ma tende a disperdersi in alto, nell'aria, evitando pericoli di esplosioni e di infiammabilità. Le emissioni di anidride carbonica sono inferiore del 23 per cento rispetto alla benzina e si risparmia fino al 65 per cento rispetto alla benzina e fino al 45 per cento rispetto al gasolio. Sono dei risparmi considerevoli anche se, in genere, i costi di manutenzione sono più cari. Per esempio, un tagliando di una doppia alimentazione, dovendo controllare sia il sistema di alimentazione a benzina che quello a gas,  può costare quasi il doppio. I punti dolens sono i soliti. Mentre per il gpl esiste una rete di 3 mila distributori, non sufficiente ma diffusa, per il metano sono ancora più rari e distribuiti più al Nord che nel resto del Paese. La velocità, sopratutto in salita e a pieno carico, ne può risentire e il motore perde di potenza. Ogni quattro anni i serbatoi a metano devono esere completamente revisionati con indubbi costi e disagi. Bisogna porre attenzione alla trasformazione di un'auto da a benzina a gas. Può costare anche fino a massimo due mila euro e bisogna valutare se conviene comprare una macchina a benzina e poi trasformarla o se conviene prenderne una con una doppia alimentazione già fornita dalla casa produttrice. Non conta solo il prezzo, i bonus, gli incentivi, ma la qualità dell'installazione.

mercoledì 12 dicembre 2012

Risparmio, rinvio, rinuncio



Il rapporto Censis fotografa l’Italia. E il ritratto non è dei migliori. Fuori fuoco appaiono gli orizzonti e non si intravede una rosea aurora. La prospettiva di una vita più sobria non è solo uno stile di vita voluto ma spesso una necessità forzata. In due anni, due milioni e mezzo di famiglie hanno venduto oro e gioielli, l’86 per cento ha eliminato gli sprechi e gli eccessi e il 73 per cento compra con le offerte. Il 62 per cento ha ridotto gli spostamenti in auto, si prendono più mezzi pubblici e sono state acquistate tre milioni e mezzo di biciclette: un vero boom. Crescono anche gli orti e gli ortaggi coltivati in proprio: due milioni e 700 mila italiani lo fanno e ogni giorno si nutrono con i loro prodotti.  11 milioni si preparano in casa yogurt, pane e conserve.
Risparmio, rinuncio, rinvio sono le tre erre, secondo il Rapporto Censis 2012, che contraddistingue lo stato d’animo degli italiani. Si mettono dei soldi da parte, per chi ci riesce, per timore del futuro, della perdita del proprio lavoro, dell’aggravarsi della crisi, rinuncio a fare delle spese inutili e non necessarie e rinvio spese che sarebbero utili, un mobile per la casa, un’automobile, vestiario. In attesa di tempi migliori e di dover affrontare dei rischi minori mettendosi su un’altra rata o un mutuo si resta sospesi: «Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie» ‒ scriveva il poeta Ungaretti. «Ci vuole un po’ più di progetto ‒ dice Giuseppe De Rita, presidente del Censis ‒ , di speranza per il futuro, un po’ più di curiosità di andare a vedere il nuovo». Che cadano, dunque, le foglie della società dei consumi, la brama di cose che non danno gioia per scoprire del nuovo: cittadini più consapevoli, imprese con la capacità di reinventarsi e innovare, un mercato e un capitalismo più solidali.

venerdì 30 novembre 2012

I repair caffè



Bevi caffè e ripara: dall’Olanda arriva l’idea anticrisi

Basta con l’usa e getta. Anche la crisi economica ci impone di trovare soluzioni alternative al consumismo sfrenato. Si sa, riciclare rifiuti fa bene all'ambiente ed è anche l’unico metodo per risolvere problemi legati a discariche sature e insufficienti.
Uno dei pochi dati positivi della crisi è l’aumento della solidarietà tra i cittadini contro la cultura del consumismo diffuso. E così in Olanda sono nati i primi “repair cafè”, locali cioè dove riparare oggetti in modo totalmente gratuito, davanti una tazza di caffè o di tè. Chiunque può portare un oggetto rotto o non funzionante e trova un esperto che mette a disposizione la sua professionalità per risolvere il problema. Uno sgabello che traballa, il lettore cd dello stereo che non funziona più, o un vecchio orologio che sballa l’orario. Basta portarli ad un “repair cafè”. In Olanda sono più di quaranta i centri di pronto soccorso che offrono consulenza. Si tratta di coffee shop, associazioni culturali o sedi di fondazioni aperti a tutti, dove gratuitamente o dietro donazioni volontarie personale qualificato e appassionati del do it yourself (fallo da solo) aiutano a riparare oggetti rotti di vario tipo, davanti a un dolce o a una tazza di tè.
Il progetto, partito tre anni fa, favorisce lo scambio dei saperi. È una buona occasione per scambiare due chiacchiere con le persone del proprio quartiere, o del proprio condominio che si ritrovano in questi luoghi d’incontro. Infatti, chi porta un oggetto da riparare, diversamente da come succede quando si va in un negozio, non lascia lì l’oggetto e va via. Anzi, assiste, impara, scambia due chiacchiere, aiuta con le proprie mani e va via soddisfatto per aver trascorso il tempo coltivando la propria cultura del “faida-te”.
L'intenzione non è quella di sostituirsi ai professionisti del settore o di entrare in concorrenza con i centri di riparazione ma, al contrario, di sostenerli diffondendo il più possibile la cultura del recupero.
In Italia l'esempio che più si avvicina è la ciclofficina, dove gratuitamente si può portare la bici da aggiustare, o magari portare pezzi di ricambio di biciclette in buono stato che potrebbero essere utili per altre biciclette.

                                                                       Lorenzo Russo

mercoledì 28 novembre 2012

Riciclare i rifiuti per rilanciare l’economia



Un’altra via è possibile: in Europa il ricorso alle discariche e agli inceneritori è stato abbandonato da tempo. La gestione del riciclo si potrà attuare con nuove norme legislative


Dopo Napoli tocca a Roma. Non è affatto un circuito virtuoso perché la strada per smaltire i rifiuti porta dritta all’estero. È una delle conseguenze dell’investire in discariche e inceneritori, invece di cercare possibili vie alternative. Roma ricicla solo il 24 per cento dell’immondizia e da gennaio sarà costretta a esportare rifiuti. Delle quattro mila tonnellate giornaliere di rifiuti prodotti, mille e duecento tonnellate saranno spedite fuori dall’Italia: destinazione da stabilire. Impossibile, per ora, conoscere i costi dell’operazione, in ogni caso, si tratta di parecchi milioni di euro spesi in più piuttosto che smaltirli in casa propria. A Napoli, che manda i rifiuti in tre regioni italiane, costa 150 euro a tonnellata. Per non parlare delle ecomafie e delle 26 milioni di tonnellate di rifiuti che ogni anno sono esportate clandestinamente da tutta Italia verso i mercati orientali.
Eppure il riciclo anche a chilometro zero, dati alla mano, sarebbe la via maestra per smaltire i rifiuti e rilanciare l’economia. A questa conclusione giunge la ricerca presentata al convegno “Plastica e riciclo di materiali: un’altra via è possibile”, promosso da Eurispes e Federazione Green Economy, in collaborazione con il Consorzio PolieCo. Secondo la Commissione europea se i 27 paesi dell’Unione si adeguassero alle normative comunitarie su riutilizzo e riciclaggio si potrebbero risparmiare 72 miliardi di euro l’anno e creare 400 mila posti di lavoro entro il 2020. «I rifiuti sono una risorsa e non vanno visti come un fardello di cui liberarsi ‒ spiega il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara ‒. L’Italia, non attuando una corretta gestione del ciclo, esporta ricchezza. Invia in Cina masse di materiale da riciclo con costi enormi e poi riacquista dalla stessa Cina oggetti prodotti con quello stesso materiale senza alcuna garanzia di qualità. Il riciclo in casa nostra è la via maestra – prosegue Fara – per rilanciare l’economia, prevenire lo spreco di materiali, ridurre il consumo di materie prime e di energia». Al danno finanziario apportato all’intero sistema di raccolta e gestione dei rifiuti in plastica  ‒ spiega la ricerca Eurispes ‒ si aggiungono il danno economico, determinato dalla necessità per i produttori europei di attingere a materie prime vergini, anziché a materie prime seconde, e quello ambientale, originato dal depauperamento delle risorse naturali disponibili. Quello che sembra costituire un certo guadagno momentaneo per il produttore e raccoglitore, conseguito dalla vendita di rifiuti selezionati e, in alcuni casi, riciclati a commercianti e intermediati verso il mercato estero, determina a lungo andare un’implosione dell’industria europea del riciclo.
L’Italia, in Europa, è tra le ultime in classica sulla gestione dei rifiuti, 20esima su 27 Paesi e il problema di fondo è quello di considerare il rifiuto come una risorsa. Occorre, infatti, un cambiamento di mentalità e una rivoluzione culturale a favore dell’ambiente perché il riciclo è il migliore strumento di separazione e recupero dei materiali.
Sono numerosi gli esempi virtuosi e le buone pratiche. In Gran Bretagna sono riusciti a creare delle sinergie industriali riuscendo a far comprendere alle imprese che i loro rifiuti e i loro sottoprodotti possono servire da risorse e materie prime per altre aziende con il vantaggio che la prima risparmierà sullo smaltimento, la seconda sull’approvvigionamento. E anche senza quantificare le ricadute positive sull’ambiente, sul minor impiego di risorse e sui posti di lavoro i vantaggi sono notevoli. Il progetto, ideato da International Synergies, ha, in cinque anni, totalizzato cifre straordinarie: 35 milioni di tonnellate di rifiuti non conferite in discarica; 48 milioni di tonnellate di acqua, 30 milioni tonnellate di CO2 e 49 milioni di tonnellate di materie prime vergini risparmiate; 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi eliminate. Le aziende partecipanti (a oggi 14.000) hanno risparmiato oltre 1.100 miliardi di euro e registrato aumenti delle vendite pari a 1.200 miliardi di euro. Sono stati inoltre creati 22.000 posti di lavoro.
I rifiuti rientrano così nel ciclo produttivo per realizzare nuovi prodotti. È un’economia circolare che senza l’aiuto di norme legislative apposite per passare dalla gestione dei rifiuti alla gestione del riciclo risulta operazione molto complessa.

lunedì 26 novembre 2012

Un bagnetto di benessere



Qualche idea per risparmiare, utilizzando prodotti naturali per grandi e piccini

Avete mai visto le pubblicità con quei bambini sorridenti ricoperti di schiuma, che fanno il bagnetto in un mare di bolle di sapone colorate? Meglio non imitarli! Innanzi tutto, per evitare al nostro piccolino di ingozzarsi di sapone, ma soprattutto perché le sostanze chimiche che servono a produrre tanta schiuma non sono adatte alla pelle delicatissima dei bambini: anzi, essendo molto aggressive, possono provocare arrossamenti, pruriti ed allergie.
Ma allora, come lavare in tutta sicurezza bimbi e neonati, con prodotti naturali e possibilmente economici? Seguendo i consigli della pediatra, questo problema in casa nostra lo abbiamo risolto da tempo. Per un bagnetto sano e rilassante, basta versare nell’acqua calda (non bollente, non stiamo cuocendo un polletto!) un cucchiaio di amido di riso. Quale scegliere? In commercio esistono diversi prodotti, la maggior parte dei quali abbastanza costosi. In realtà, con medo di due euro si trovano scatole di amido di riso da 500 grammi su cui è chiaramente scritto che si può utilizzare per il bagnetto di grandi e piccini. E se la pelle del bambino è arrossata o ha i puntini tipici della sudamina? Niente paura, con un cucchiaio del bicarbonato di sodio che si usa per cucinare sciolto nell’acqua il gioco è fatto. E la spesa? Meno di un euro e lo si può utilizzare per decine di lavaggi.
Ovviamente, bisognerà pure scegliere un sapone, un olio da bagno o uno shampoo: ma come districarsi tra decine di flaconi di marche diverse? L’importante è preferire prodotti per pelli sensibili e delicate, possibilmente con proprietà lenitive e riequilibranti, che non contengano il “sodium laureth sulfate”, che può provocare arrossamenti e irritazioni. Ancor meglio, poi, se non ci sono glutine e conservanti.
Passando agli adulti, perché non dovrebbero preferire i prodotti naturali anche le mamme e i papà? Innanzi tutto per le mani. Gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità raccomandano infatti di lavarle con acqua tiepida e sapone neutro, strofinando palmo e dorso per almeno trenta secondi e risciacquando con cura. L’importante è asciugarle con salviette pulite: a questo punto non c’è nessun bisogno di ricorrere ai disinfettanti per tener lontani virus e batteri.
Il discorso, naturalmente, può essere esteso anche agli shampoo e ai bagnoschiuma: sempre meglio preferire prodotti naturali (oggi se ne trovano anche di biodegradabili al cento per cento) per evitare pruriti e inestetismi dovuti a irritazioni ed arrossamenti. Uguale attenzione può essere fatta anche per i deodoranti: meglio evitare gli antitraspiranti e preferire prodotti senza alcol e senza sali di alluminio. Bastano piccole accortezze, a volte, per vivere meglio, volersi più bene e nuocere meno all’ambiente.
                  
                                                                                                  Sara Fornaro

mercoledì 21 novembre 2012

Riparo, riuso, recupero


Nell’Italia della crisi si va diffondendo la consuetudine di rimettere in circolo gli oggetti, aggiustarli e scambiarsi beni

Diminuiscono i consumi, aumentano le riparazioni, cresce il riutilizzo degli oggetti. Questa, che rientra nella nota filosofia delle “quattro erre” (ridurre, riutilizzare, riciclare e recuperare), potrebbe essere la fotografia delle abitudini degli italiani in tempi di crisi. Se prima un elettrodomestico guasto veniva facilmente sostituito e un capo di abbigliamento con uno strappo era subito rimpiazzato da un nuovo acquisto, oggi le cose sembrano essere cambiate.
Chiedetelo a Giuliano Andreucci, responsabile di Zyp, una catena di negozi che ripara abiti, moltiplicatisi in un batter d’occhio e sempre in grande attività. Complice la mancanza di tempo e anche l’incapacità sempre crescente di fare quei piccoli lavori di sartoria che per le nostre mamme erano all’ordine del giorno, i negozi rosa (dal colore degli infissi che li caratterizza), hanno intercettato sicuramente un bisogno diffuso.
Il ragazzo della bottega sotto casa mi racconta che le richieste riguardano soprattutto il cambio di una cerniera rotta, oppure la riparazione di qualche strappo, ma anche la trasformazione, con qualche piccolo accorgimento, di un capo d’occasione da usare in cerimonie diverse, nonché il rattoppo creativo di un cappotto da usare il più possibile.
La vera novità sembra però venire dal settore degli elettrodomestici, dove il verbo riparare negli ultimi anni ha trovato una sempre più grande accoglienza. Secondo dati dell’Associazione riparatori elettrodomestici di Torino, viene aggiustato infatti il 40 per cento delle lavatrici, il 35 per cento dei ferri da stiro con caldaia, il 30 per cento delle lavastoviglie, il 15 per cento dei frigoriferi, il 10 per cento dei forni a microonde. Non solo quindi gli elettrodomestici di taglia grande e dal costo consistente, ma anche quelli più piccoli e dalla spesa più abbordabile.

In quanto al riutilizzo, certamente abbiamo ancora sotto gli occhi nel mese di settembre le lunghe file ai mercatini del libro usato: sempre di più gli studenti vi fanno ricorso per guadagnarci qualcosa, vendendo quelli non più in uso e per risparmiare sull’acquisto di quelli da utilizzare nell’anno. Ma si diffonde pure l’abitudine a mettere in rete annunci di offerte o richieste di beni non più necessari, o che lo sono solo per un periodo.
Fra le tante iniziative che vanno in questa direzione segnaliamo il “cassonetto Rca - rifiuto con affetto”. Si tratta di un progetto nato dall’iniziativa di Maddalena Vantaggi, designer dell’Università di Venezia, che, con due colleghe, ha creato un cassonetto-vetrina, dove depositare gli oggetti che si vorrebbe dar via perché non ci servono più, ma ai quali siamo affezionati. La filosofia di fondo è che ciò che appare inutile per una persona può diventarlo per un’altra; inoltre, la vetrina spesso diventa luogo di scambio tra oggetti e occasione di incontro tra persone.
Tra gli effetti non di poco conto va sottolineato il fatto di rimettere in circolazione beni ancora in buono stato e allungare il ciclo di vita di un oggetto. A tal proposito torna in mente quanto sostiene Guido Viale, economista, autore del libro La civiltà del riuso (ed. Laterza), che, cioè, anche gli oggetti hanno un’anima. Essi «sono la creatività, la fatica e le attenzioni che hanno contribuito a produrli, e poi la cura di cui sono stati circondati durante la loro vita. Il loro riuso è il modo in cui il consorzio sociale, o amicale, o famigliare, raccoglie e valorizza» tutto ciò.
L’economista parla anche di alcuni ostacoli nella promozione di una cultura del riuso: quelli che si frappongono all’intercettazione di quanto viene dismesso; la mancanza di abilità tecniche necessarie per il recupero e la manutenzione degli oggetti vecchi; ostacoli di tipo amministrativo e fiscale. Ma sostiene anche che una civiltà del riuso non è impossibile da realizzare e conviene a chi cede e a chi acquista, fa diminuire la produzione di rifiuti, stimola la condivisione e la socializzazione e aumenta l’occupazione. In effetti, sono 12 mila gli addetti al settore della vendita al dettaglio di oggetti di seconda mano; e, se il settore crescesse, forse pure il Pil ne risentirebbe meno, anche se non aumenterebbero i consumi. Alla lunga, però, consumare meglio avrebbe benefici duraturi anche sul Pil.

                                                                     Aurora Nicosia

martedì 20 novembre 2012

Accerchiati dai detergenti



Igienizzanti aggressivi aumentano allergie e stress. Come spendere meno e guadagnare in salute

C’è il detersivo per i piatti, lo spray per la polvere, il presidio medico chirurgico per i pavimenti, l’anticalcare per le piastrelle e lo sgrassatore per i fornelli, il disincrostante per il bagno e l’igienizzante per il bucato. Senza dimenticare l’antigocce per i vetri, il detergente per il parquet, lo smacchiatore per le camicie e la candeggina per un bianco che più bianco non ce n’è.
Alzi la mano chi non ha, accanto a bacinelle, stracci e spugne, una decina di flaconi con proprietà antisettiche, disinfettanti e antibatteriche. Ebbene, sono tutti (o quasi) tossici e pericolosi. Tempo fa uno spot televisivo mostrava una mamma col figlio minacciati da panciuti e pericolosissimi batteri, pronti a saltare sul bambino per spedirlo a letto con un’infezione quantomeno preoccupante, a meno che la solerte mammina non avesse provveduto a disinfettare la casa, senza fatica e senza risciacquo. Tutto bene. Anzi, no.
Innanzi tutto, i batteri sono un po’ ovunque e non tutti sono pericolosi. Se rendiamo le nostre case asettiche come sale operatorie, rischiamo di incorrere nel superbatterio: quello che avrà resistito a tutti i prodotti chimici, diventando più pericoloso e difficile da debellare. E i nostri bambini, oltre ad ingurgitare sostanze tossiche mentre – gattonando – danno pure una leccatina al pavimento, non si fortificheranno, rischiando di indebolire il loro sistema immunitario.
Vista la crescita esponenziale di allergie, da tempo i pediatri denunciano l’eccessivo utilizzo di prodotti chimici per le pulizie. Intendiamoci bene: la casa va pulita, eccome, anche per evitare le allergie agli acari. Tuttavia non serve l’armamentario chimico a cui non riusciamo a rinunciare.
Partiamo dalle lavatrici: l’uso di detersivi, smacchiatori, igienizzanti e sbiancanti davvero non è necessario. Basta un buon detersivo, meglio se non inquini troppo, e un risciacquo più accurato. I cicli brevi, infatti, non eliminano i residui chimici e allora sì che si rischiano pruriti e dermatiti.
Passando alla lavastoviglie: ma siamo proprio sicuri che il brillantante non ci faccia gustare, insieme ai manicaretti, anche i rimasugli chimici appiccicati a bicchieri, piatti e stoviglie? Mangia oggi, bevi domani, anche quantitativi infinitesimali di detersivo alla lunga possono diventare tossici.
E chi non intendesse rinunciare a disinfettare abiti e pavimenti, prima di versare il detersivo sulla spugna farebbe meglio a riflettere sulle indicazioni riportate sulle etichette: non inalare, non toccare, non ingerire…
Ma allora come avere case pulite, ridurre i rischi di allergie e anche (perché no?) risparmiare? C’è chi propone l’utilizzo, sano ed economico (e particolarmente utile in questi tempi di crisi) di prodotti naturali (ad esempio, l’aceto come smacchiatore e anticalcare; il bicarbonato per tenere pulita la lavatrice, lavare frutta e verdura e far brillare i tappeti) e chi punta su prodotti ecocompatibili e biodegradabili: costano meno e inquinano poco.
L’importante, spiegano anche dall’associazione dei consumatori Altroconsumo, è non dimenticare che il corpo umano è perfettamente in grado di difendersi da solo dai microbi che vivono nell’ambiente. Riducendo l’utilizzo di disinfettanti e antibatterici l’ambiente ci ringrazierà e la salute nostra e dei nostri figli ne trarrà giovamento.

                                                                    Sara Fornaro

lunedì 19 novembre 2012

L'Equobar di Vicenza


Solo prodotti equo e solidali, a chilometro zero e da agricoltura biologica. Ma anche altro

Una grande e semplice idea: un bar, luogo di relazioni, per far conoscere un’economia differente. «Mi trovo a Brasilia ‒ racconta Adriano Sella, fondatore del movimento Gocce di giustizia ‒ ed entro in un Bar Cultura. Al primo piano c’è una libreria, al secondo c’è un bar dove si possono leggere i libri esposti anche senza comprarli».
Tornato in Italia, dopo aver vissuto sulla propria pelle l’ingiustizia degli altri, decide di far lo stesso. Nasce così il primo Equobar d’Italia. Capitale d’elezione è Vicenza. Sono passati più di quattro anni dagli esordi ma le finalità sono le stesse. «L’Equobar ‒ spiega Sella ‒ vende solo prodotti dell’equo solidale, a chilometro zero e di agricoltura biologica. Sono i prodotti di un’economia che chiamiamo di giustizia».
Il caffè, le tisane, i succhi, le bevande, anche una buonissima Cola, sono del circuito equo e solidale. I formaggi, i salumi, i panini, le bruschette sono prodotti locali della filiera etica, sono a chilometro zero, cioè provengono da produttori locali che garantiscono prodotti di qualità pagati ad un prezzo giusto. I prodotti di agricoltura biologica, senza pesticidi, provengono da varie regioni d’Italia. In un bar sono così disegnati tre cerchi concentrici con cibi provenienti da produttori locali, nazionali e mondiali.
Ma il consumare, anche se equo e solidale, non è la cosa più importante. «Non c’è alcuna pressione al consumo ‒ dice Marzia Lovato, presidente della cooperativa AlterAttiva, che gestisce il bar ‒; i clienti possono sfogliare il giornale, giocare a carte, leggere i libri sui nuovi stili di vita sobri per tutto il tempo che vogliono». È un bar non per tesserati, ma aperto a tutti per creare aggregazione. Gruppi di amici, associazioni possono ritrovarsi in una stanza dell’Equobar per le loro riunioni, feste di compleanno, di laurea e per lanciare nuove band musicali. Appositi eventi culturali, presentazioni di libri, conferenze sono utilizzati per diffondere i nuovi stili di vita e conoscere le connesse problematiche sociali, ambientali, ecologiche. Per non dire della settimana del baratto: di libri e di oggetti. Scambi gratuiti, naturalmente. All’Equobar, infatti, vige la legge della gratuità. Una quarantina di volontari di tutte le età su turni di mattina e di pomeriggio garantiscono l’apertura. Non sono dei professionisti, ma lo stanno diventando. Provate il cappuccino e crederete.

giovedì 15 novembre 2012

Ma chi me lo fa fare?


Non c’è da scandalizzarsi se talvolta ci scopriamo a porci la domanda più semplice che ci sia in questi tempi di crisi: ma chi me lo fa fare? Una domanda declinata in diverse forme: ma chi me lo fa fare di pagare tutte le tasse dovute, proprio tutte? di cedere il posto sull’autobus? di non fare copia/incolla per la mia tesina universitaria? di gettare la carta della pizza appena consumata nel cestino e non per terra? di rispettare la fila alla fermata dell’autobus? di andare a votare alle prossime elezioni? di perdere tempo nel fare la raccolta differenziata dell’immondizia? di rispettare il semaforo rosso anche se la circolazione è inesistente? di richiedere lo scontrino fiscale al parrucchiere? di non scaricare l’ultimo film di 007, gratis, da un sito pirata? di non parcheggiare in doppia fila o sulla pista ciclabile, tanto resto solo due minuti? di non far fotocopie in ufficio, anche se mi servono per faccende mie personali? di… di… di…
Ma chi me lo fa fare? La crisi tocca tutti, tranne pochi privilegiati, tutti dobbiamo risparmiare. Aurelio Molè nella rubrica “Vita sobria” e nel libretto Con stile ci suggerisce metodi e trucchi per arrivare a chiudere il mese dignitosamente e lecitamente, addirittura in modo costruttivo per la nostra persona e per la società. Ok, ma alzi la mano chi non ha mai avuto la tentazione di porsi una delle domande che ho appena elencato! Porsi la domanda, tuttavia, non vuol dire cedere alla tentazione. L’importante sta nel rispondersi correttamente. Ciò dipende in primo luogo dalle proprie convinzioni – più sono intime e radicate, più risultano efficaci –, così come dalle leggi e dalle sanzioni che regolano il vivere in società. Il grado di “civiltà” di un popolo può essere misurato anche dalla capacità della gente di rispondere tenendo conto del bene comune (e dei beni comuni).

D’accordo. Ma se nessuno attorno a noi rispetta il bene comune, perché io debbo farlo? «E che sono fesso?», direbbe Totò. Nella convivenza civile la reciprocità è in effetti importante: se vedo che tutti i miei coinquilini fanno la differenziata, anch’io mi sento spinto a farla. Se, al contrario, nessuno la fa, la mia motivazione viene sminuita. I nostri economisti-editorialisti – Bruni, Gui, Pelligra – da tempo nelle loro ricerche hanno approfondito tale tema della reciprocità e della cosiddetta “reciprocità incondizionale”, cioè quella di chi compie un gesto per il bene comune anche se nessun’altro lo fa: continuo cioè a fare la differenziata anche se i coinquilini non la fanno.
Masochismo? No. Identità forte: la mia decisione per il bene comune non ha bisogno della “reciprocità”, mi spinge all’azione positiva anche se sono solo. Ormai coloro che si comportano così vengono chiamati “piccoli eroi”, anche se forse sono solo “onesti”. Sono persone che il più delle volte finiscono con l’essere contagiose: le nostre pagine sono piene di questi esempi. Tuttavia la piena soddisfazione, la “felicità sociale” arriva solo se c’è reciprocità di comportamenti: la piena realizzazione della nostra identità comune avviene solo in questo caso. Forse l’attuale crisi può spingerci a cercare di raggiungere questo obiettivo comune, magari cominciando da soli, da piccoli eroi. E, forse, potremo così uscire dalla crisi (e far anche il nostro interesse personale, alla fine). Altrimenti sprofonderemo in una guerra civile di interessi particolari.
                                                                                            
                                                                                                      Michele Zanzucchi

venerdì 27 luglio 2012

Tutti al mare


Uno stabilimento balneare gestito dalla Caritas. Un’opportunità per fare vacanze abbordabili

Bucatini alla pescatora. Spiedini di pesce con patate fritte. Vino bianco e acqua. Menu fisso a prezzi calmierati. Siamo in riva al mare, a Ostia. La cena è ottima e la qualità è garantita da due giovani cuochi, diplomati dell’istituto alberghiero e con delle precedenti esperienze lavorative. Largo, dunque, a due nuove promesse.
Le cene solidali sono l’ultima trovata dello stabilimento balneare L’arca il cui ricavato contribuisce a finanziare le innumerevoli opere sociali della Caritas. Per prenotazioni visitare il sito www.larcaostia.org.
L’arca è una delle più originali iniziative della Caritas della diocesi di Roma che, nel 2004, ha rilevato uno stabilimento balneare per permettere a tutti una vacanza accessibile. «Tutti al mare», cantava la romana Gabriella Ferri. «L’idea di fondo è incrociare le attività ludiche ‒ ci spiega Gennaro Di Cicco, responsabile della Caritas di Roma per la raccolta di fondi e donazioni ‒ di anziani e bambini per far tesoro della memoria dei più grandi e della gioia portata dai più piccoli».
C’è, ovviamente, un corrispettivo da pagare, anche se a prezzi accessibili, ma solo per chi se lo può permettere. Per gli altri, appunto, tutti al mare. Per centinaia di bambini bielorussi è addirittura la prima volta. «È straziante ‒ racconta Di Cicco ‒ vedere dei ragazzi e delle ragazze che per la prima volta vedono il mare, hanno paura, perfino, di toccare l’acqua». All’Arca entrano e pranzano gratuitamente. Alla vacanza ci pensa don Armando Nardini, un eroico novantenne sacerdote romano che, da anni, spende tutta la sua pensione per organizzare e pagare il viaggio a bambini della Bielorussia abbandonati negli orfanatrofi. Ma L’arca è aperta a tutti e tante famiglie che incontrano questi bambini poi, d’inverno, li ospitano a casa propria.
Storie di reciprocità. Come i duemila volontari, tutti giovani, 30 al giorno, che decidono di passare parte delle loro vacanze nell’animazione e gestione dello stabilimento. A novembre di ogni anno la quota necessaria è già raggiunta. Le attività ludiche con gli anziani provenienti da diverse città e parrocchie, abbattono molti muri. Gli anziani non si sentono più «agli arresti domiciliari» nei loro appartamenti. Ritrovano le relazioni, la voglia di parlare, giocare e ballare. I giovani volontari liberano le capacità di dare, di spendersi, di ascoltare i luoghi della memoria e le esperienze vissute di chi ha già compiuto un bel tratto di cammino. Il saldo tra il dare e l’avere è così sempre positivo.
Non mancano le criticità e, quando arrivano gruppi di anziani, è possibile assistere ad una vera e propria corsa affannosa per accaparrarsi gli ombrelloni e le sdraio fronte mare, con tanto di cadute. «Per questo motivo ‒ spiega di Cicco ‒ abbiamo predisposto una turnazione dei posti. Il fatto è che quando una persona respira i valori culturali ispirati all’ascolto, all’accoglienza, alla tolleranza, al dono e alla solidarietà, in qualche modo, il malessere fisico e persino le vacanze al mare passano in secondo piano. Resta la voglia di relazione e di vivere. Non è raro alle 14, dopo pranzo, trovare alcuni anziani pronti sulla pista da ballo per cominciare a volteggiare e i giovani volontari stremati dal caldo e la digestione».
I ricavi dell’Arca finanziano, tra l’altro, anche un emporio, un supermercato gratuito per famiglie che non arrivano a fine mese. Sono duemila persone. Una goccia nel mare per un bacino d’utenza molto più ampio. «C’è la provvidenza ‒ conclude Di Cicco ‒ ma c’è molto da fare».

giovedì 19 luglio 2012

Rilanciare la bici


Muoversi senza auto in città dovrebbe essere un diritto soprattutto in tempi di crisi, proprio quando sono in aumento l’uso dei mezzi pubblici e i costi del trasporto urbano ed extraurbano. Non sarebbe conveniente per tutti favorire delle politiche per una mobilità sostenibile a favore della bici? Perché in nessuno dei parcheggi per le macchine nelle stazioni della metropolitana è possibile lasciare in sicurezza la propria bici? Non è un costo elevato predisporre delle rastrelliere e delle aree dove sia possibile parcheggiare la bici. Addirittura in alcune gallerie sotterranee interne si potrebbero trovare degli spazi idonei dove lasciarle. L’importante è che siano in luoghi non isolati perché i veicoli vengono rubati frequentemente anche nei parcheggi delle stazioni dei treni. Nelle grandi città anche brevi tragitti per raggiungere la stazione della metropolitana più vicina a casa potrebbero essere così percorsi sulle due ruote.
Sono molteplici i vantaggi. Innanzitutto di tempo. Per fare pochi chilometri in un’area metropolitana con il trasporto pubblico per raggiungere la fermata della metro più vicina si impiega anche mezz’ora, in bici la metà. Sarebbe, in ogni caso, un’opzione aggiuntiva di mobilità. Inoltre si ridurrebbe il traffico, si avrebbero benefici sulla salute, riduzione di emissioni di anidride carbonica, e si fornirebbe un’immagine positiva della città.

Anche il bike sharing, la possibilità di prendere in affitto una bici dal Comune, è così riuscito e diffuso in grandi città europee come Londra e Parigi, eppure Roma non solo non decolla, ma di fatto è stato affossato per biechi interessi di bottega, per non dire di peggio. La proposta di passare dalle 29 stazioni di bike sharing esistenti a 80 si scontra con gli interessi delle lobby degli impianti pubblicitari, i cartelloni che ingombrano le strade, che andrebbero drasticamente ridotti per fare spazio alle nuove stazioni di bike sharing. Ma che nessuno osa rimuovere. Le amministrazioni pubbliche dovrebbero rilanciare il sistema del bike sharing valutando, come è successo a Roma, che bassa densità di stazioni di prelievo e di consegna, tendono a far fallire l’intero sistema. Il servizio diventa attraente, secondo uno studio di Legambiente, quando «è più denso, garantisce una maggiore disponibilità di biciclette, e un’operatività più estesa».

lunedì 2 luglio 2012

La scossa 2


Tra telefonate inopportune, tariffa bioraria o monoraria. Come orientarsi nell’energia elettrica per risparmiare?

Si saranno passate il mio contatto telefonico tra le varie compagnie elettriche? Non so spiegarmi come mai ogni sera tra le 8 e le 9 ricevo una telefonata nociva per la salute, la digestione e il sistema nervoso. Normalmente sono a casa, giustamente stanco e a cena. Sono chiamate delle aziende elettriche. E sono insistenti. Le riconosco dai prefissi telefonici più impensati che appaiono sul display. Sono i vari call center disseminati per l’Italia per i cui operatori provo una vera pietas. Sono, infatti, tra i veri schiavi della post modernità. Ognuno chiede di prendere l’ultima bolletta mentre sto cenando, confrontare i prezzi e aderire ad una fantastica offerta in esclusiva che sta per terminare in pochi secondi.
Sono aziende come Acea, Eni, Sorgenia, Edison. Cosa offrono? La tariffa monoraria. Come tutti sappiamo, dal 2010 si è passati alla tariffa bioraria che prevede che l’energia elettrica si paghi di più dalle 8 alle 19 dal lunedì al venerdì e si paghi di meno dalle 19 alle 8 del mattino dei giorni feriali e nei giorni festivi. La tariffa bioraria è vantaggiosa per chi riesce a concentrare i due terzi, circa il 67 per cento, dei propri consumi nella fascia più economica. Al contrario, chi consuma più del 33 per cento di energia elettrica nelle ore di punta sostiene costi maggiori.
Cosa è successo nel frattempo? Milioni di famiglie si sono spostate sulla bioraria usando la fascia più conveniente. Contemporaneamente la forte crescita delle energie rinnovabili (sole, vento) ha prodotto una maggiore offerta e produzione nelle ore diurne ed ha causato un maggior costo dell’energia nelle centrali alimentate a gas nella fascia serale e notturna, perché nella fascia diurna spesso devono restare spenti per dare la precedenza alla produzione dell’energia solare ed eolica.
La conseguenza è stata che il prezzo medio nel 2011 è risultato quasi uguale alle 12 del mattino e alle 23 di sera. Di fatto, per risparmiare, conviene usare gli elettrodomestici dopo le 23, meglio ancora dopo le 4 del mattino fino alle 8. A quel punto, conviene passare alla monoraria.
Per cui ho capito perché i call center chiamano. E, secondo Il salvagente, il quotidiano online dei consumatori, l’operazione «puzza di cartello». Per capire quale può essere la tariffa più adatta ai vostri consumi si può consultare il “Trova offerte” sul sito www.autorita.energia.it predisposto dall’Autorità per l’energia.

La scossa 1


 A seguito del regime di liberalizzazione introdotto dall’Unione Europea, in Italia dal 2004 tutti i cittadini hanno diritto di scegliere in libertà il fornitore di gas, e dal 2007 quello dell’energia elettrica.
Passano gli anni, ma sono ancora molti i cittadini alle prese con la scarsa conoscenza e la diffidenza nei confronti del mercato libero dell’energia. Sarà davvero conveniente? Come scelgo? Ci saranno disservizi. Mi tenderanno un imbroglio?
Come detto, la possibilità di scegliere tra le diverse e competitive offerte di fornitura di elettrica e del gas è la grande novità introdotta con la liberalizzazione del settore energetico. Si tratta di un’opportunità senza precedenti che può essere colta al meglio solo se disponiamo di tutte le informazioni necessarie per individuare l’opzione più congeniale alle nostre esigenze.
Per esercitare una scelta realmente cosciente è necessario avere effettiva consapevolezza dei nostri consumi ed essere bene informati sulle voci principali che compongono le bollette della luce e del gas. Occorre un piccolo sforzo di analisi delle nostre abitudini “energetiche” per capire meglio il da farsi.
È molto importante conoscere bene i nostri diritti, che iniziano prima ancora di firmare il contratto, e che si estendono a tutti gli aspetti del rapporto. Per esempio, conoscere le diverse forme di tutela attualmente esistenti ci aiuta a far valere le nostre ragioni in caso di mancato rispetto degli standard di qualità relativi all’erogazione dei servizi. Ad esempio sentiamo le Associazioni di consumatori e facciamo una scelta perché ogni scelta è sicuramente responsabilità, ma forse anche….risparmio

Paolo De Maina

Sconti sul roaming


Altra bella novità dell'estate è che dal 1° luglio costa meno anche l'uso del telefonino all'estero. E' una buona notizia per i vacanzieri che si possono permettere una vacanza abroad.

I costi, ora, non possono superare i 29 centesimo al minuto, Iva esclusa, per chiamare dall'estero. Per le chiamate ricevute si paga 8 centesimi al minuto più la solita Iva not included che cambia percentuale a seconda del Paese di residenza. Un sms costa 9 centesimi. Scaricare dati in roaming costa 70 centesimo al megabyte e nel 2014 calerà a 20 centesimi per una diminuzione complessiva del 90 per cento rispetto ai prezzi correnti.

Un pop up o un sms avviserà in modo automatico se avete superato la soglia dei 50 euro o al propriom limite preventivato per scaricare dati. Sarete liberi di rispondere se andare avanti o fermarsi lì.

La Esso al contrattacco

In questa fantastica guerra al ribasso nelle stazioni di servizio Esso self più questo fine settimana record di sconti. Si è arrivati anche a 1,39 per il diesel e 1,55 per la benzina, come ci cinforma il Quotidiano Energia. Personalmente ho incrociato un distributore Esso con il diesel a 1,43 dove non sono riuscito a fermarmi ed uno a 1,447 dove con grande soddisfazione ho effettuato la “ricarica” settimanale. La campagna sottocosto avviata da Eni dà, almeno per i consumatori, i suoi frutti. Altre compagnie, come la Q8, si difende con sconti generici e non ben identificabili mentre la Ip, sconta, anche sul servito,  16 centesimi. Altre compagnie come la Total Erg si difendono con sconti mirati in aree ad alta concorrenza, arrivando a sconti fino a 15 centesimi al litro. Infine la Shell si attesta sui meno 10. Gli sconti continuano…

lunedì 25 giugno 2012

Nuove luci a Catania



Grande novità a Catania. Il Comune rinnova il parco luci di illuminazione stradale e introduce i led. Sono previsti 10 milioni di investimento e un piano di rientro delle spese in 9 anni. Si prevede un risparmio del 40 per cento delle spese.
«Siamo di fronte a un fatto di straordinaria importanza per la città di Catania – ha detto il sindaco Stancanelli nella conferenza stampa di presentazione ‒ perché abbiamo badato a coniugare efficienza con innovazione, per eliminare sprechi e contribuire al risparmio energetico che è una delle sfide più serie del nostro tempo, grazie al sistema delle lampade Led che utilizzano già molte famiglie. Catania si torna a distinguere per innovazione e a quanto mi dicono i tecnici ‒ ha aggiunto il sindaco Stancanelli ‒ verranno garantiti livelli eccellenti anche sotto il profilo del controllo della rete per prevenire e contrastare furti di rame, azioni di danneggiamento o di allaccio abusivo. E per questo ‒ ha aggiunto Stancanelli ‒ ho voluto che fosse migliorata l’interazione coi cittadini per venire incontro prontamente alle loro segnalazioni in caso di guasti dovuti ai motivi più vari». 
Tra le principali novità del piano, la manutenzione programmata degli oltre 31 mila punti luce cittadini; interventi di riqualificazione energetica e artistica con l’impiego di nuove tecnologie finalizzati alla messa in sicurezza, con la riqualificazione parco apparecchi illuminanti e risparmi energetici con l’impiego, su larga scala, del sistema Led in circa 20 mila punti luce, oltre il 60 per cento di quelli complessivi, senza oneri aggiuntivi per il Comune. Gli interventi di modifica dei sistemi d'illuminazione con l'installazione dei nuovi impianti riguarderanno gran parte della città e si concluderanno entro il prossimo mese di settembre.
Sul fronte del risparmio energetico è prevista anche un’innovativa gestione dell’accensione e dello spegnimento dell’impianto seguendo il ciclo solare. «Sono tutte innovazioni di cui si comprende agevolmente l’importanza – ha concluso il sindaco Stancanelli ‒ e i cittadini possono contare su nuovi e migliori servizi con meno gravami per il Comune poiché siamo consapevoli che vanno incrementate le logiche del risparmio e abbattute quelle degli sprechi, una modalità amministrativa di cui l'appalto tramite Consip è concreta testimonianza, che ci caratterizza fin dal nostro insediamento dopo decenni di ritardi e occasioni perdute».

Un sabato pomeriggio con i carburanti sottocosto


Ho provato a fare un giro per la Roma desolata di un sabato pomeriggio assolato. I distributori di tutte le case erano deserti. Certamente per i 35 gradi di temperatura. Su sei distributori Eni che ho incrociato, solo tre aderivano all’iniziativa dei maxi sconti per i fine settimana estivi. Non né ho trovati né dell’Esso, nel della Q8 che proponevano i soliti prezzi.
Nei tre distributori Eni ho trovato file di 10-20 macchine. Mi sono messo in coda e in soli 12 minuti di attesa ho pagato 27 litri di diesel 40 euro. Se si pensa che il prezzo medio del diesel, secondo il Quotidiano energia, è attorno 1,70, il risparmio è consistente. Sono circa 6 euro su 40 spesi. A fine estate si tireranno le somme. Ma se fosse dimostrato che è possibile abbassare i prezzi dei carburanti non diminuendo i fatturati delle compagnie petrolifere, non sarebbe una buona notizia e un’iniziativa da estendere per tutto l’anno?
Che almeno per una volta l’estate porti consiglio? È meglio vendere grandi quantità e fare ricavi proporzionalmente minori piuttosto che prezzi alti e poco fatturato? Non potrebbe avere conseguenze, anche se limitate, positive su tutta l’economia, se abbassiamo i costi? O almeno un segnale di fiducia?

venerdì 22 giugno 2012

Altro ribasso per i carburanti

Non si ferma la corsa al ribasso dei prezzi della benzina. Il gruppo Eni continua la sua strategia e per il prossimo fine settimana ha ulteriormente diminuito i costi dei carburanti. Dalle 13 del sabato alle 7 del lunedì mattina, il diesel costerà 1,480 e la benzina 1,580. Che prezzi! Si prevedono code, ma a motori spenti per non inquinare e consumare carburante.

martedì 19 giugno 2012

OK, il prezzo è giusto


Chi doveva dirlo che l’estate porta consiglio? All’inizio fu l’Eni, che con il simpatico attore pugliese Rocco Papaleo ha lanciato la campagna estiva per maxi sconti nella benzina. Ogni fine settimana, in modalità self service la benzina costa 1,6 euro e il diesel 1,5. Non è male se si pensa che i prezzi medi sono, rispettivamente, 1,821 e 1,708. Del resto, per rendersi conto che gli italiani hanno di molto limitato i consumi non servono le ricerche statistiche dell’Istat o del Censis, è sufficiente recarsi in un autogrill per vedere che la festa è finita. Non più file faraoniche per andare in bagno e per pagare gli scontrini, autostrade deserte, traffico diminuito anche in città con conseguente aumento dell’uso dei mezzi pubblici. Il che non fa male né alla salute, né all’impatto ambientale per la diminuzione dell’anidride carbonica. Se n’è accorta anche la Fiat che vende ora le sue utilitarie con incluso il prezzo dei carburanti fissato ad 1 euro per 3 anni. Un incentivo per comprare e usare la macchina in un mercato in caduta libera per la crisi economica e il rialzo dei prezzi dei carburanti dovuti alle sempre maggiori accise.
L’iniziativa Eni, anche se non tutti i suoi distributori aderiscono, ha avuto successo ed ha scatenato una sana catena virtuosa per cui anche le altre compagnie petrolifere sono state costrette a replicare.
La Q8 e l’Esso, nei week end, adesso propongono sconti ancora maggiori e distribuiscono la benzina a 1,595 e il diesel a 1,495. Prezzi addirittura inferiori alle pompe bianche che si attestano sui rispettivamente, 1,599 e 1,499. In tempi di vacche magre, ci si accontenta di poco. Ma per le famiglie, per viaggiare o recarsi al lavoro è un bel risparmio. Per un pieno di 50 litri si risparmiano 10 euro. Questa è la concorrenza che ci piace. Al ribasso e senza cartelli tra le “sette sorelle”.

Il centro estivo


Estate, tempo di scuola. Mentre le campanelle intonano gli ultimi rintocchi, gli uffici restano aperti e i bambini non si sa a chi affidarli. Il periodo prima delle vacanze di famiglia, per chi le può fare, sono tra i più esosi dell’anno. Lasciamo da parte i fortunati, quelli provvisti di nonni e affini che possono scarrozzare i figli. Noi altri dobbiamo arrangiarci, a patto di avere un portafoglio ben guarnito. Le baby sitter sono la soluzione più comoda ma più esosa. I bambini non si devono alzare presto al mattino, restano in casa e si possono finalmente rilassare dopo un anno stressante anche per loro. Le controindicazioni sono i costi e la noia. Dopo poco i bambini sono come leoni in gabbia per le poche attività che possono fare all’aperto.
L’unica soluzione resta il centro estivo. Ce ne sono di molte fatture e prezzi. Bisogna, in ogni caso controllare la struttura prima di iscrivere i propri figli. Che ci siano ampi spazi all’aperto e zone d’ombra. Verificare che non ci sia un programma di attività troppo intenso ma che ci siano degli spazi destrutturati di gioco libero per sviluppare la fantasia e le relazioni. Un altro elemento decisivo è valutare la proporzione tra il numero dei bambini e degli educatori. È opportuna la presenza di qualche amico insieme alla possibilità di fare nuove conoscenze.
La nota dolens sono i costi. Si calcola una media di 130 euro a settimana per figlio. Ci sono anche attività molto stimolanti, come il Bioparco a Roma, l’Acquario a Genova, il museo Muba a Milano, il campus delle stagioni a Napoli, i campi scuola settimanali nei parchi naturali Lame Belice e Lamasinata a Bari. Le controindicazioni dei centri estivi sono nel numero spesso insufficiente degli educatori rispetto ai bambini presenti, il gran caldo sofferto in alcune strutture e il fatto che i nostri figli tornino a casa distrutti.
Dove veramente si risparmia è negli oratori parrocchiali. Nel mio quartiere i centri estivi oscillano tra i 120 e i 150 euro a settimana, in parrocchia il costo è 80 euro a settimana o 25 al giorno. A Milano, nell’oratorio estivo della diocesi, chiamato PassPartù, si paga 30 euro al giorno pasto compreso e nei Grest e nei classici oratori si arriva anche a 10 euro a settimana , con 2 ore pin più al giorno per i pasti.
Del resto anche la scuola dell’obbligo, di fatto, non è più gratuita con una serie infinita di spese accollate direttamente alla famiglia. Rilassiamoci.