Un’altra via è possibile: in Europa il
ricorso alle discariche e agli inceneritori è stato abbandonato da tempo. La
gestione del riciclo si potrà attuare con nuove norme legislative
Dopo Napoli tocca a
Roma. Non è affatto un circuito virtuoso perché la strada per smaltire i
rifiuti porta dritta all’estero. È una delle conseguenze dell’investire in
discariche e inceneritori, invece di cercare possibili vie alternative. Roma
ricicla solo il 24 per cento dell’immondizia e da gennaio sarà costretta a
esportare rifiuti. Delle quattro mila tonnellate giornaliere di rifiuti
prodotti, mille e duecento tonnellate saranno spedite fuori dall’Italia:
destinazione da stabilire. Impossibile, per ora, conoscere i costi dell’operazione,
in ogni caso, si tratta di parecchi milioni di euro spesi in più piuttosto che
smaltirli in casa propria. A Napoli, che manda i rifiuti in tre regioni
italiane, costa 150 euro a tonnellata. Per non parlare delle ecomafie e delle
26 milioni di tonnellate di rifiuti che ogni anno sono esportate
clandestinamente da tutta Italia verso i mercati orientali.
Eppure il riciclo anche
a chilometro zero, dati alla mano, sarebbe la via maestra per smaltire i
rifiuti e rilanciare l’economia. A questa conclusione giunge la ricerca
presentata al convegno “Plastica e riciclo di materiali: un’altra via è
possibile”, promosso da Eurispes e Federazione Green Economy, in collaborazione
con il Consorzio PolieCo. Secondo la Commissione europea se i 27 paesi
dell’Unione si adeguassero alle normative comunitarie su riutilizzo e riciclaggio
si potrebbero risparmiare 72 miliardi di euro l’anno e creare 400 mila posti di
lavoro entro il 2020. «I rifiuti sono una risorsa e non vanno visti come un
fardello di cui liberarsi ‒ spiega il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara
‒. L’Italia, non attuando una corretta gestione del ciclo, esporta ricchezza. Invia
in Cina masse di materiale da riciclo con costi enormi e poi riacquista dalla
stessa Cina oggetti prodotti con quello stesso materiale senza alcuna garanzia
di qualità. Il riciclo in casa nostra è la via maestra – prosegue Fara – per
rilanciare l’economia, prevenire lo spreco di materiali, ridurre il consumo di
materie prime e di energia». Al danno finanziario apportato all’intero sistema
di raccolta e gestione dei rifiuti in plastica ‒ spiega la ricerca Eurispes ‒ si aggiungono
il danno economico, determinato dalla necessità per i produttori europei di
attingere a materie prime vergini, anziché a materie prime seconde, e quello
ambientale, originato dal depauperamento delle risorse naturali disponibili.
Quello che sembra costituire un certo guadagno momentaneo per il produttore e
raccoglitore, conseguito dalla vendita di rifiuti selezionati e, in alcuni
casi, riciclati a commercianti e intermediati verso il mercato estero,
determina a lungo andare un’implosione dell’industria europea del riciclo.
L’Italia, in Europa,
è tra le ultime in classica sulla gestione dei rifiuti, 20esima su 27 Paesi e
il problema di fondo è quello di considerare il rifiuto come una risorsa.
Occorre, infatti, un cambiamento di mentalità e una rivoluzione culturale a
favore dell’ambiente perché il riciclo è il migliore strumento di separazione e
recupero dei materiali.
Sono numerosi gli
esempi virtuosi e le buone pratiche. In Gran Bretagna sono riusciti a creare delle
sinergie industriali riuscendo a far comprendere alle imprese che i loro
rifiuti e i loro sottoprodotti possono servire da risorse e materie prime per
altre aziende con il vantaggio che la prima risparmierà sullo smaltimento, la
seconda sull’approvvigionamento. E anche senza quantificare le ricadute
positive sull’ambiente, sul minor impiego di risorse e sui posti di lavoro i
vantaggi sono notevoli. Il progetto, ideato da International Synergies, ha, in cinque anni, totalizzato cifre
straordinarie: 35 milioni di tonnellate di rifiuti non conferite in discarica;
48 milioni di tonnellate di acqua, 30 milioni tonnellate di CO2 e 49 milioni di
tonnellate di materie prime vergini risparmiate; 1,8 milioni di tonnellate di
rifiuti pericolosi eliminate. Le aziende partecipanti (a oggi 14.000) hanno
risparmiato oltre 1.100 miliardi di euro e registrato aumenti delle vendite
pari a 1.200 miliardi di euro. Sono stati inoltre creati 22.000 posti di
lavoro.
I rifiuti rientrano
così nel ciclo produttivo per realizzare nuovi prodotti. È un’economia
circolare che senza l’aiuto di norme legislative apposite per passare dalla
gestione dei rifiuti alla gestione del riciclo risulta operazione molto
complessa.
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