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lunedì 22 febbraio 2016
Se vai in bici il comune ti paga
Alcuni miei colleghi di lavoro si recano in ufficio in bici. Li invidio. Non sudano perchè hanno un "aiutino" elettrico, si chiama pedalata assistita, producono endorfine, gli ormoni del buonuomore, non devono nè pagare nè cercare parcheggio e possono fare tutte le infrazioni che vogliono. Sono veicoli, ancora, non targati. Io non posso. Forse neanche 30 anni fa ce l'avrei fatta a percorrere i 32 chilometri di distanza che mi separano dal lavoro. Ho, insomma, una buona scusa per non andare al lavoro in bici. Ma sempre più varie città italiane e, sopratutto all'estero, incoraggiano tale pratica. In Europa in principio fu il Belgio che, dal 1997, paga 0,22 centesimi di euro al chilometro a chi si reca in bici in ufficio. Di recente è stata la volta di Parigi, ben 0,25 centesimi di euro al chilometro. In Italia, per ora, ci prova il comune di Massarosa, in provincia di Lucca. Pagherà 25 centesimi al chilometro. Dal 1 marzo saranno in strada 35 fortunati. Ogni ciclista non potrà guadagnare più di 50 euro al mese. "Chi partecipa - spiega il sindaco di Massarosa Franco Mungai a La Repubblica - compila un'autocertificazione e poi scarica una App sul cellulare, in moda da mettere i vigili urbani in grado di fare dei controlli a campione: verificare itinerari a velocità media di viaggio per assicurarci che chi aderisce utilizzi davvero la bici". Il budget che il comune di Massarosa utilizza per l'esperimento proviene da una quota dei proventi delle multe. Soldi spesi bene.
giovedì 19 febbraio 2015
Diecimila passi
Per uno stile di vita armonioso
occorre camminare ogni giorno secondo la filosofia della “spinta dolce”.
Tra i pochi benefici effetti della crisi economica in corso
ormai da anni si notano un cresciuto bisogno di relazioni, che si coglie anche
nella comunicazione permanente e globale della Rete, la crescita della
solidarietà intergenerazionale all’interno delle famiglie e il mutato approccio
ai consumi. Il consumismo non appare più come uno status symbol e un dovere
sociale e culturale. La ricerca del benessere personale passa attraverso la
ricerca di uno stile di vita più sobrio cercando di armonizzare tutti gli aspetti
della vita: lavoro, relazioni sociali, tempo libero, cura della salute, del
cibo, dell’abitazione, spazio alla cultura.
Uno degli aspetti più trascurati è sicuramente il riposo. Si
dorme poco, male. Un giorno di riposo, una passeggiata, una serata con gli
amici possono sembrare, a volte, una perdita di tempo. L’Organizzazione
mondiale della sanità consiglia di fare diecimila passi al giorno come garanzia
di salute. Cinquemila passi li facciamo senza neanche accorgercene. Per
calcolare gli altri basta comprare un contapassi o scaricare gratuitamente una
applicazione dal cellulare per avere infinite varietà di dati. Ci sono
indicazioni di distanza, velocità, cadenza, battito cardiaco, calorie
consumate.
A parte i benefici fisici per problemi metabolici,
cardiovascolari, posturali, pressori, allontana il rischio di osteoporosi, di
diabete, di ictus e infarto. Ho dovuto provare anch’io e ne ho subito tratto
beneficio per la pressione e la prevenzione del diabete. Ma il benessere
maggiore è nel senso di rilassamento e nel buon umore che genera creando un
circolo virtuoso di non poterne fare a meno: una vera e propria dipendenza
positiva. I giorni in cui si cammina sono più felici e sereni.
Anche in questo campo può essere applicata la filosofia dei
“piccoli passi” elaborata nel 2008 dall’economista americano Richard Thaler.
Per un vero cambiamento è più efficace “una spinta dolce” piuttosto che
un’imposizione. Si fa quel che si può e come si può. È una scelta libera, ma
ogni giorno si può fare un passo in più, un piccolo miglioramento, graduale,
che ci porterà più lontano di un cambio radicale. Inoltre cambiare una sola,
piccola abitudine innesca un circolo virtuoso che elimina altre inclinazioni
negative. Ogni conversione, insomma, è graduale.
giovedì 16 maggio 2013
Come misurare il benessere
In un ascensore di New York due vecchi amici, ancora giovani per la verità, s’incontrano e incuranti degli estranei si chiedono due domande fondamentali. «Che ruolo hai nella tua azienda e quanto guadagni?», che in inglese suona: «How much you make?». Stile diretto, veloce, del resto siamo in ascensore, dove l’unità di misura della qualità della vita è il denaro, in questo caso il dollaro. Come per le persone accade con gli Stati, non solo Uniti. L’unico indicatore dello stato di salute di un Paese è il Pil e la felicità fa ancora rima con liquidità. Senza nulla togliere all’importanza del contante e ai parametri economici, oggi è ampiamente avvertita la necessità di valutare il benessere con l’aggiunta di nuovi indicatori perché non tutto è monetizzabile. Per questo motivo il Cnel e l’Istat hanno elaborato il Bes, il benessere equo sostenibile, per monitorare le condizioni economiche, sociali, ambientali in cui viviamo con uno spettro di dimensioni molto più ampie che aspirano a diventare una sorta di “Costituzione statistica” per tracciare la direzione del progresso nella società italiana bilanciato dall’eguaglianza e dalla sostenibilità. Le dodici dimensioni del benessere si articolano analizzando la salute e gli stili di vita della popolazione, l’istruzione e la formazione permanente, il lavoro e la conciliazione dei tempi di vita, il benessere economico, le relazioni sociali, la politica e le istituzioni, la sicurezza, il livello di soddisfazione per la propria vita, il paesaggio e il patrimonio culturale, l’ambiente, la ricerca e l’innovazione, la qualità dei servizi. È dalla combinazione di questi elementi, dall’armonia e l’equilibrio di come sono vissuti a livello personale e collettivo che nasce un nuovo paradigma per misurare le criticità dell’esistente e per segnare un percorso per il futuro. E sono molti gli studi, le proposte e gli indicatori alternativi al Pil che sono stati elaborati in molti Paesi, basti pensare all’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, al Fil (Felicità interna lorda) che si calcola nel piccolo regno asiatico del Bhutan. L’importante è non valutare più la nostra vita e quelli degli Stati solo con il Pil ma con un modello organizzativo che valuti tutti gli aspetti della vita come già descritto nel libro Con stile di Città Nuova. Il benessere passa dalla semplicità e dalla complessità della vita umana.
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